Nascere oggi in Italia, perché è così difficile?

Mamme sempre più tardi e pochi nati (ma in salute): ecco il rapporto che fotografa la situazione italiana

Immagine per l'autore: Rita Breschi
Rita Breschi , ostetrica

Quando nasce un bambino l’ostetrica compila due documenti: la dichiarazione di nascita, per il comune di residenza, e il certificato di assistenza al parto (CEDAP), che viene inviato al Ministero della Salute. Il CEDAP contiene molte informazioni attraverso le quali gli statistici del ministero tengono sotto controllo il fenomeno della natalità in Italia.

È stato recentemente pubblicato il rapporto CEDAP, relativo all’anno 2014, che fotografa la salute delle donne in gravidanza, la modalità del parto e la salute dei neonati in Italia.

Pochi i nati in Italia

Il primo dato su cui riflettere è il numero totale dei nati, 502.446, dato in costante decrescita dal 2009. In questi cinque anni si sono perse 55.000 nascite, e questo è il triste specchio della crisi economica con le sue ricadute sulla precarietà del presente e del futuro delle nostre giovani generazioni. Di questi bambini, uno su cinque è nato da madri di cittadinanza non italiana, e anche le donne straniere hanno un numero di figli sempre minore: questo si collega al fatto che l’Italia è il fanalino di coda in Europa per le politiche di sostegno alle famiglie con figli.

Nella distribuzione della natalità esistono però due diverse realtà in Italia: il centro-nord, dove si ha in genere un figlio, e il sud dove si hanno due o più figli. Al nord, inoltre, tre nati su dieci hanno almeno un genitore straniero.

Mamme sempre più tardi

«La fertilità decresce con l’aumentare dell’età» ha ricordato il ministro Lorenzin, ma quella campagna di comunicazione ha ricevuto diverse critiche, perché non basta dire alle donne di fare figli per invertire la tendenza drammatica della denatalità italiana.

Esiste una sostanziale differenza anche nell’età media delle donne al parto: le italiane partoriscono il primo figlio dopo i 31 anni e le straniere tre anni prima; inoltre, almeno otto neonati su cento hanno una madre ultraquarantenne.

L’aumento dell’età al primo parto è una delle cause (non l’unica) del ricorso alla procreazione medicalmente assistita: quasi due bambini su cento nascono in seguito a questa opportunità. La procreazione assistita è anche la causa dell’aumento della nascita di gemelli.

L’epidemia dei cesarei

La quasi totalità dei parti in Italia avviene in ospedali pubblici o cliniche private. Solo un bambino su mille nasce in altri contesti, e di questi solo alcuni nascono a casa per scelta, diversamente da quanto succede in alcuni paesi del nord Europa, dove il parto domiciliare è garantito dal sistema sanitario pubblico, ed è inserito nel novero delle scelte possibili per la donna.

In Italia, dove praticamente tutte le donne partoriscono nei contesti sanitari, il dato che salta agli occhi è di nuovo l’esagerato ricorso al taglio cesareo (35%, siamo campioni europei!), che non ha alcuna giustificazione sanitaria, soprattutto di fronte alla raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che stabilisce la quota ottimale fra il 10 e il 15%.

Di questo primato non possiamo andare orgogliosi: la media europea si attesta al 26% e la percentuale di mortalità materna e neonatale nel nostro continente resta comunque molto bassa, pari a quella italiana. Inoltre c’è una grandissima differenza fra le regioni Italiane: una donna che partorisce in Campania ha una probabilità circa tripla di avere un cesareo rispetto a una donna che partorisce in Toscana.

La modalità del parto dipende dalla struttura che si sceglie

Se non sono ragioni sanitarie quelle che determinano questa anomalia tutta italiana del ricorso al parto chirurgico, dove dobbiamo cercarne le cause? La modalità con cui si partorisce è collegata alla natura della struttura nella quale le donne si ricoverano: una donna che partorisce in clinica privata ha una probabilità molto maggiore di avere un taglio cesareo rispetto a una che partorisce nella struttura pubblica, e inoltre la probabilità del cesareo aumenta nelle strutture piccole, quelle dove nascono pochi bambini.

In sostanza, la facilità con la quale i medici ricorrono al cesareo dipende soprattutto dall’organizzazione del reparto e da come sono organizzate le cure ostetriche nel territorio di riferimento. E purtroppo la regola è che più cesarei si fanno più se ne faranno, perché in moltissimi ospedali non è previsto partorire per via vaginale il secondo bambino se il primo è nato con il cesareo, anche se quasi la metà delle donne potrebbe riuscirci.

Questo andamento si inserisce nel contesto generale di un eccesso di “medicalizzazione” della gravidanza e del parto in Italia, che induce le donne a effettuare visite, esami, ecografie non necessarie: tre donne su quattro per esempio effettuano in gravidanza più ecografie delle tre consigliate.

Buone pratiche per il parto

L’obiettivo dell’assistenza alla nascita è avere una mamma e il suo bambino in buona salute, con il minimo livello di cure compatibile con la sicurezza, nel rispetto della dignità e della cultura di tutti. In Italia abbiamo indici molto buoni per la salute delle mamme e il 99% dei neonati per fortuna sta bene.

Per migliorare l’esperienza di tutti possiamo diminuire gli interventi non necessari in gravidanza e ridurre il numero dei cesarei, senza temere che questo incida negativamente sulla salute dei nostri neonati. I nomi più gettonati per i piccoli? Francesco e Sofia.

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Rita Breschi

ostetrica, ha avuto una lunga esperienza lavorativa nel servizio pubblico, sia sul campo sia come ostetrica dirigente. In questa veste ha aperto il Centro nascita “Margherita”, struttura dedicata al parto naturale dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, e lo ha diretto dal 2007 al 2014. È autrice di numerose pubblicazioni su riviste di settore, e del libro “Partorirai con amore”. È in pensione dal 2017.

Articolo pubblicato il 13/04/2017 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura FotografiaBasica / iStock / Getty Images Plus

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