Se sbaglio chiedo scusa!

Per il bambino, chiedere scusa è un'occasione per entrare in contatto con le proprie emozioni e quelle altrui: un comportamento che il piccolo impara soprattutto da mamma e papà

Immagine per l'autore: Chiara Borgia
Chiara Borgia , direttrice di Uppa magazine
Due bambini fanno la pace

All’incontro per genitori oggi si parla di regole. Ognuno ha portato la sua lista: «Lavarsi le mani prima di mangiare» va per la maggiore, insieme a «non urlare» e «non si danno le botte». Seguono le indicazioni sul mettere in ordine e qualche limite alla visione di cartoni animati.
In uno dei foglietti trovo scritto: «Se sbaglio chiedo scusa». Mi sembra interessante e cominciamo a parlarne…

Cosa sono le “buone maniere”?

Ci ricordiamo che scusa è una di quelle paroline magiche (così le chiamava mia nonna), che insieme ad altre come “permesso?”, “grazie”, “prego”, “per favore”, “buongiorno” e “buonanotte”, erano nei tempi passati parte delle cosiddette “buone maniere”, cioè di quelle norme-galateo del vivere sociale che venivano impartite ai bambini in famiglia e a scuola. L’idea di educazione su cui si basavano era, almeno inizialmente, ben distante dai princìpi della scienza pedagogica odierna; basti pensare ai manuali di buone maniere diffusi dal XV secolo, zeppi di nozioni relative alla condotta in pubblico e al decoro esteriore, il cui intento era di “civilizzare” il bambino soffocando i suoi istinti e condizionando i suoi comportamenti.

A questo punto ci viene naturale la domanda: oggi ha ancora senso proporre alcune delle buone maniere che si sono tramandate nel tempo o sono solo parole vuote, indicazioni di comportamento formali e prive di contenuti realmente educativi?

La prima chiave per rispondere sta nella consapevolezza del genitore, che dovrebbe fermarsi a riflettere sulle sue azioni quotidiane e chiedersi: come mai insegno a mio figlio determinate parole e comportamenti? Perché per me sono cose importanti? Lo faccio per fare bella figura? Perché mi accorgo che sono utili per mio figlio nelle relazioni con gli altri? Perché creano un clima particolare in famiglia? E io, le utilizzo?

Con questa premessa, proviamo a trovare il senso della regola «se sbaglio chiedo scusa», mettendo a fuoco delle riflessioni educative che ci potranno aiutare a ragionare anche su altre “buone maniere” a cui educhiamo i nostri figli.

Il senso dell’errore

Generalmente chiediamo ai bambini di chiedere scusa quando hanno fatto, volutamente o meno, qualcosa di sbagliato, un errore che ha coinvolto in qualche misura un’altra persona. «Di’ scusa alla mamma» («hai fatto cadere il vaso cui teneva tanto»), «di’ scusa a Laura» («le hai dato le botte mentre giocavate»).

Il significato che diamo alla parola e al gesto del chiedere scusa è strettamente legato alla nostra concezione dell’errore.

Se da genitori consideriamo l’errore solo in un’accezione negativa, se trasmettiamo ai nostri figli il messaggio che sbagliare sia un male, una colpa, qualcosa di cui vergognarsi e da reprimere, allora chiedere scusa per un bambino diventa veramente difficile. Perché significa ammettere di aver fatto una cosa brutta, vivere il senso di colpa e renderlo pubblico, umiliarsi, vergognarsi, sentirsi in difetto. Tutta una serie di circostanze da cui si vorrebbe scappare da grandi, figuriamoci da bambini.

Se invece pensiamo che l’errore sia naturalmente parte della crescita dell’uomo e soprattutto se nel nostro quotidiano valorizziamo l’educazione come opportunità per imparare e migliorare, allora le cose cambiano. Se il nostro motto è «sbagliando s’impara», il chiedere scusa assume anche significati diversi: può diventare un modo per entrare in contatto emotivo con sé stessi e con l’altro («mi dispiace se ti ho causato del male»); per imparare a conoscere i confini della propria volontà e la responsabilità verso gli altri; per impegnarsi al cambiamento («cercherò di fare diversamente d’ora in poi»). Il chiedere scusa può assumere quindi un valore che va al di là del singolo gesto; non è solo un modo per chiudere un episodio, ma apre al bambino nuove possibilità di crescita.

Si comincia in famiglia

Naturalmente il significato educativo del chiedere scusa, così come lo abbiamo descritto, può essere interiorizzato dal bambino solo se lo sperimenta concretamente nella sua crescita. Questo avviene in primo luogo in famiglia e tramite il modello di comportamento dei genitori. Come sempre, partiamo dall’esempio: il bambino impara mille volte in più da ciò che papà e mamma fanno, piuttosto che da quanto dicono. In questo senso, il chiedere scusa, così come le altre “buone maniere”, sarà all’inizio per il bambino piccolo semplicemente un comportamento da imitare e delle parole da ripetere. Se queste parole gentili fanno parte delle nostre relazioni familiari, se i genitori le usano tra loro e con il bambino, allora quest’ultimo le imparerà naturalmente e senza sforzi e il clima, l’atmosfera che regna in casa e in famiglia, ne sarà positivamente influenzato.

Dare l’esempio significa anche saper chiedere scusa ai nostri figli, quando sbagliamo con loro nelle piccole o grandi cose, quando ci arrabbiamo esageratamente, quando esercitiamo il nostro “potere” di adulti in malo modo o senza attenzione. Chiedere scusa ai nostri figli non significa perdere autorevolezza, al contrario significa acquistarne. Significa fornire al bambino un modello di uomo e donna che non è di finta e quindi debole perfezione, ma di sana imperfezione. Anche mamma e papà ogni tanto possono sbagliare (l’importante è che in generale e nelle cose importanti siano sempre un riferimento saldo ed equilibrato), ma sanno riconoscere il proprio errore e modificare il proprio comportamento. Sono sensibili al vissuto e alle emozioni dell’altro che può essere stato ferito da una loro azione.

Dall’abitudine alla consapevolezza

Man mano che il bambino cresce, la parolina magica come buona abitudine si potrà trasformare in un atto d’amore più consapevole verso il prossimo.
Sicuramente un bambino di due anni avrà più difficoltà a comprendere il perché del chiedere scusa rispetto a un bambino di cinque. Questo per almeno due motivi: 1) probabilmente non sa neanche di aver commesso un errore; 2) essendo per la sua età molto concentrato su sé stesso, non sempre comprende che il suo comportamento può aver ferito un’altra persona.

Tante delle azioni del bambino che per noi adulti richiederebbero delle scuse, sono incidenti in cui lui agisce senza intenzione di far del male. Il primo passo a quest’età è allora aiutarlo a comprendere l’errore: nel momento in cui il fatto accade, è bene fermarsi a spiegare con calma e pazienza cosa è successo e come si può fare diversamente la prossima volta. Facciamo un esempio: nel giardino dell’asilo un bambino corre felice avanti e indietro sul triciclo. Nella foga passa con le ruote sui piedi di un suo compagnetto, buttandolo a terra. Il genitore potrebbe porsi così: «Mi sembra che non ti sei accorto di Luigi mentre correvi. Gli sei passato molto vicino e le ruote del triciclo gli sono andate addosso facendolo cadere. Adesso lui piange perché si è fatto male. Che ne dici, possiamo fare qualcosa per lui? Vuoi dirgli che ti dispiace? Ti consiglio di usare il triciclo in quel pezzo di giardino dove non c’è nessuno, se vuoi correre, e di tenere sempre gli occhi ben aperti…» Ciò aiuterà pian piano il bambino a controllare le proprie azioni e a mettersi in contatto emotivo con l’altra persona.

Anche quando gli episodi sono da ricondurre a una volontà specifica del bambino che, scontrandosi con i desideri dell’altro, agisce per imporre il suo volere («ti ho dato uno schiaffo per prendermi il giocattolo»), la proposta del chiedere scusa ci deve sempre servire per aiutare il bambino a immedesimarsi nell’altro. Questa competenza empatica cresce con l’età ma va al contempo “allenata”. A un bimbo di quattro anni potremo allora sicuramente chiedere di immaginare come possano sentirsi gli altri in varie situazioni, o di cosa avrebbero bisogno per star meglio o ancora come ci sentiamo quando qualcuno ci chiede scusa…

Perché è sbagliato costringere un bambino a chiedere scusa

Quanto detto finora ci fa capire come sia inutile e controproducente obbligare un bambino a chiedere scusa se non vuole farlo. O, ancora peggio, minacciarlo di una punizione se non lo fa. Per paura di altre conseguenze, alla fine pronuncerà le scuse bisbigliandole a fatica. Con quale risultato? In questa situazione si evidenzia la debolezza dell’adulto, che a volte vuole sentir dire quella parola quasi per vincere la partita, per dimostrare di essere il più forte tra i due, di saper piegare la volontà del figlio.

Il bambino rifiuta di chiedere scusa perché non si è reso conto dell’errore o non capisce perché sia necessario o ancora perché se ne è reso conto benissimo e si sente già tanto in colpa da non sopportare un’ulteriore umiliazione (come abbiamo visto poco fa in merito alla concezione dell’errore). Può rifiutarsi anche perché è entrato in una dinamica di sfida al potere con il genitore che poco ha a che fare con l’episodio in questione. In ogni caso, è sempre meglio aspettare e capire piuttosto che obbligare, ricordandosi che, per gli episodi particolarmente “disdicevoli”, a volte è proprio necessario un periodo di pausa e “sbollimento” fra l’evento e le scuse.

Come insegnare a chiedere scusa?

Tra i tre e i sei anni, i bambini sono in un periodo critico per quanto riguarda l’apprendimento delle competenze sociali (cioè tutti i comportamenti che permettono di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale). È possibile mostrare loro come scusarsi in maniera pratica, attraverso quattro passi:

  • di’ che ti dispiace
  • chiedi come aiutare l’altra persona a tornare alla normalità o a sentirsi meglio
  • offriti di cambiare comportamento in modo che l’incidente non si verifichi nuovamente
  • chiedi che le scuse vengano accettate. Delle scuse sincere dovrebbero suonare così: «Mi dispiace molto. Non volevo correrti addosso. Ti sei fatto male? Come ti posso aiutare? Starò più attento a dove vado. Puoi accettare le mie scuse?»
Immagine per l'autore: Chiara Borgia
Chiara Borgia

pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.

Articolo pubblicato il 14/12/2017 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura LUHUANFENG / Getty Images

Condividi l'articolo