Anche i bambini soffrono di mal di testa. Scopriamo cause e rimedi

Il mal di testa, o cefalea, non è un problema che si presenta solo in età adulta. Vediamo come affrontarlo quando colpisce i bambini

Immagine per l'autore: Anna Rita Longo
Anna Rita Longo , divulgatrice scientifica
Primo piano di bambino che si tiene la testa tra le mani per il mal di testa

Nel corso dell’emergenza pandemica diversi gruppi di ricerca si sono concentrati sull’impatto che la situazione ha avuto sui bambini che soffrono di mal di testa, con risultati contraddittori e suscettibili di successivi approfondimenti. Se, da un lato, in una prima fase si registravano dei miglioramenti collegati alla diminuzione delle ansie dovute alla frequenza scolastica, recenti notizie riferiscono, invece, di peggioramenti dipendenti da un insieme di fattori.

Lo spunto è un invito a soffermarci su un problema, quello del mal di testa in età evolutiva, che non sempre è affrontato in modo adeguato. Ne abbiamo parlato con Pier Antonio Battistella, studioso senior e già Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università degli Studi di Padova, dove ha diretto il Centro Cefalee per l’Età Evolutiva, presso il Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino.

Mal di testa: un disturbo frequente nei bambini

Una delle ragioni per non trascurare il problema del mal di testa in bambini e ragazzi è la frequenza del disturbo. «La cefalea – ci ha detto Battistella – è il sintomo neurologico più frequente che si riscontra nella pratica clinica in età evolutiva. Oggi disponiamo di uno specifico strumento che ci consente di fare una diagnosi corretta, cioè la terza edizione, approntata nel 2018, della Classificazione internazionale delle cefalee ICHD-3, che è un riferimento imprescindibile». In tale classificazione si individuano tre tipologie principali di cefalee: quelle “primarie”, non dovute cioè ad altre condizioni o malattie; le forme “secondarie”, che sono sintomo di svariate condizioni patologiche, e infine le cefalee attribuite a disturbi cranio-facciali o cervicali.

«Fortunatamente – aggiunge Battistella – il 90% delle volte, nella pratica clinica, ci troviamo di fronte a cefalee primarie, quindi che non sono indizio di una patologia organica. Questo è un dato importante e rassicurante per i genitori». Continua lo specialista: «Tra le cefalee primarie, si distingue poi tra emicranie, cefalee tensive, cefalee autonomico-trigeminali. In età evolutiva l’emicrania è sicuramente il problema più comune e con un maggiore impatto sulla qualità della vita ed è la ragione per cui più di frequente la famiglia si rivolge a uno specialista».

L’emicrania: il problema più diffuso

A quale età capita più spesso di trovarsi di fronte a un bambino o una bambina con l’emicrania? Sottolinea il neuropsichiatra: «Questo tipo di mal di testa si manifesta prima nei bambini, intorno ai 7-8 anni, e un po’ più tardi nelle bambine, intorno ai 10-11 anni, perché in quest’ultimo caso è legato ai cambiamenti ormonali tipici della pubertà. A partire da questa fase, si nota poi come l’emicrania diventi decisamente più frequente nel sesso femminile, con un rapporto di 3 a 1 rispetto ai maschi. A partire dai 12 anni l’incidenza dell’emicrania è sovrapponibile a quella che si riscontra negli adulti».

L’impatto del mal di testa sulla qualità della vita

Ci troviamo, quindi, di fronte a un disturbo che colpisce diversi bambini e ragazzi, anche se uno stereotipo diffuso associa l’emicrania solo all’età adulta. «È così, – aggiunge lo specialista – infatti i dati ci dicono che su due persone adulte che soffrono di emicrania una avrà avuto un esordio del problema entro i primi 15 anni d’età. Bisogna, inoltre, tenere presente che si tratta di un disturbo che può avere un impatto pesante sulla qualità della vita di bambine e bambini, per esempio sul rendimento scolastico, sulla vita sociale, sulla gestione della quotidianità. Purtroppo molte di queste situazioni non sono affrontate in modo adeguato, né sul piano diagnostico né nella presa in carico».

L’iter diagnostico per il mal di testa

Quali sono i passi attraverso i quali si giunge a una corretta diagnosi di un tipo particolare di cefalea? «Il primo passo – continua Battistella – è senz’altro un’anamnesi molto accurata: lo specialista porrà al bambino o alla bambina e ai suoi genitori delle domande che riguardano il tempo di insorgenza del dolore, il modo in cui si è manifestato, se è peggiorato, migliorato o rimasto stabile nel tempo.

Si chiede al bambino il “pattern” (ovvero lo schema) dettagliato dei sintomi che riguardano il suo mal di testa, aiutandolo a valutarne frequenza, durata, intensità e tipologia e tenendo conto delle sue capacità espressive ridotte rispetto a quelle di un adulto. Si cerca anche di capire se vi siano fattori scatenanti o allevianti della cefalea, per esempio se l’esercizio fisico (o altri fattori che aumentano la pressione all’interno del cranio) la intensifichi. Si appura poi se vi siano fenomeni che rientrano nella cosiddetta “aura”, cioè sintomi visivi, sensazioni di formicolio, intolleranza a luce, odori, rumori. Non si devono trascurare anche sintomi come un calo del rendimento scolastico, oppure la presenza di febbre o di un recente trauma cranico. In generale, si cerca, con l’anamnesi, di approfondire tutti i possibili aspetti che possano guidare verso una diagnosi corretta».

Si passa poi all’esame obiettivo generale e alla visita neurologica. Continua lo specialista: «Un esame importante per escludere una cefalea secondaria legata a una possibile ipertensione endocranica è l’esame del fondo dell’occhio. Altri esami, come l’elettroencefalogramma, non vanno svolti di routine: quest’ultimo, per esempio, può portare a dei falsi positivi e va quindi riservato ai casi in cui ci sono manifestazioni atipiche di aura o alterazioni dello stato di coscienza. Quando dall’anamnesi emergono degli elementi di sospetto, nonostante l’obiettività neurologica sia negativa, va preso in considerazione l’esame di neuroimmagine migliore, vale a dire la risonanza magnetica cerebrale, specie se ci si trova di fronte a un esordio recente del sintomo o a un rapido peggioramento, anche tenendo conto del fatto che i primi 5 anni di vita, così come l’età senile, sono i periodi più a rischio per le cefalee secondarie».

Emicrania o cefalea tensiva?

Le due tipologie principali di mal di testa “primario” che si riscontrano in età infantile e adolescenziale hanno sintomi in parte speculari e con qualche differenza rispetto a quelli che si osservano nelle persone adulte. «Nei bambini si parla di emicrania – sottolinea lo specialista – dopo almeno 5 attacchi che durano almeno 2 ore, in presenza di un mal di testa che può essere, in età evolutiva, anche a sede bilaterale, con un dolore forte, pulsante e aggravato dall’attività fisica. Ci possono essere anche nausea, vomito o fastidio in presenza di rumori e di luce intensi. La cefalea di tipo tensivo ha invece sintomi più sfumati: per la diagnosi sono necessari almeno 10 attacchi, di durata da 30 minuti a 7 giorni. Il dolore è simile a un peso o a una costrizione, ha intensità media o lieve e non è aggravato dallo sforzo fisico, non compaiono nausea o vomito, mentre si può sperimentare o il fastidio verso la luce o quello verso i rumori intensi».

Le caratteristiche dell’emicrania infantile 

Un aspetto da non trascurare è il fatto che le manifestazioni cliniche dell’emicrania in età pediatrica sono spesso diverse rispetto a quelle che si riscontrano negli adulti. «Questo avviene – sottolinea Battistella – perché a quest’età non si è ancora raggiunta la maturità sul piano neurobiologico e ciò determina alcune differenze. Per esempio, nei bambini gli attacchi sono più brevi e più frequenti, e si associano più spesso a manifestazioni come il vomito. A volte, addirittura, nei primi anni, ci può essere una forma di “emicrania senza cefalea”: ci possiamo quindi trovare di fronte a episodi ciclici di vomito, nausea, dolori addominali, veri e propri precursori del mal di testa di tipo emicranico, che si manifesterà pienamente negli anni futuri».

Ma quanto può essere importante la tempestività dell’intervento? «Una diagnosi corretta e tempestiva può evitare che il problema diventi cronico e, per esempio, porti ad abusare degli antidolorifici da banco, che possono indurre effetti collaterali negativi, rendendo più difficoltose le cure adeguate», aggiunge lo specialista.

Bambini e mal di testa: quando preoccuparsi

Come dicevamo, nella stragrande maggioranza dei casi ci si troverà di fronte a un mal di testa di tipo primario. Il medico presterà, invece, particolare attenzione in presenza di alcuni campanelli d’allarme. Quando preoccuparsi? Ricorda l’esperto: «Tra gli aspetti da approfondire rientrano la presenza di un esordio recente, l’età sotto i 3 anni, la cefalea molto intensa o “esplosiva”, la cefalea o il vomito notturni o al risveglio, il peggioramento del dolore con lo sforzo, il progressivo aumento del dolore, le alterazioni della crescita, il declino cognitivo, le modificazioni nello stato di vigilanza e così via. In questi casi risulta certamente opportuna la visita presso un centro specializzato nella diagnosi e cura delle cefalee».

Gli stereotipi errati sul mal di testa nei bambini

A parte l’erronea credenza, che abbiamo già contribuito a sfatare, che il mal di testa riguardi soprattutto gli adulti, ci sono altri modi di pensare comuni ma errati sulla cefalea infantile? «Sì, – aggiunge lo specialista – tra questi l’idea che i bambini abbiano mal di testa solo per cause psicologiche, mentre, per esempio, sono ben noti fattori costituzionali, correlati a familiarità, e quindi a una predisposizione genetica». Altre possibili cause di mal di testa risultano ancora sovrastimate: «È il caso – sottolinea Battistella – dei difetti della vista, delle sinusopatie, oppure della malocclusione dentaria, che solo raramente sono la causa del mal di testa del bambino. In questi ultimi anni l’attività di formazione esercitata dalle società scientifiche sta, tuttavia, contribuendo a ridimensionare la diffusione di tali stereotipi, che possono tradursi nella prescrizione di visite specialistiche e di accertamenti strumentali talora anche costosi e di scarsa utilità».

I rimedi e le terapie

Nella terapia delle cefalee, così come per gli altri aspetti della pratica medica, l’attenzione al singolo caso è fondamentale. «È importante che ogni paziente sia trattato nella sua unicità, approfondendo adeguatamente la diagnosi clinica e adottando la terapia più idonea. Anche qualora i primi interventi non consentano una risoluzione dei sintomi, è essenziale continuare a seguire il percorso diagnostico e terapeutico concordato con il medico per evitare due possibili rischi: la cronicizzazione della cefalea, specie di tipo emicranico, e la tendenza all’abuso di analgesici, che si può osservare già in età adolescenziale. Di comune accordo con lo specialista che prende in cura il paziente, si potrà scegliere così un approccio corretto, che nel caso delle due cefalee primarie più frequenti (emicrania e forma di tipo tensivo) preveda una terapia sintomatica con una posologia adeguata all’età e al peso corporeo del minore, oltre, quando necessaria, a una terapia preventiva farmacologica o di supporto psicoterapico», conclude l’esperto.

Immagine per l'autore: Anna Rita Longo
Anna Rita Longo

Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.

Articolo pubblicato il 12/05/2021 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura KevinDyer / iStock

Condividi l'articolo