Congedo parentale, e non solo: i diritti dei genitori

Vediamo come funzionano le diverse forme di congedo parentale e quali sono le difficoltà principali che affrontano i genitori lavoratori

Immagine per l'autore: Anna Rita Longo
Anna Rita Longo , divulgatrice scientifica
Una mamma tiene in braccio il figlio lattante mentre lavora

La situazione delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia presenta ancora molti punti critici, e lo si può constatare anche nel momento in cui si decide di avere un figlio.

In questi casi emerge in modo chiaro come le tutele legali e, soprattutto, la loro concreta applicazione, oltre che gli aiuti offerti dal cosiddetto welfare state, non siano certo sufficienti a sostenere i genitori in una fase importante e delicata.

E si evidenzia anche in modo chiarissimo come molti dei problemi ruotino intorno al tema della parità di genere, che continua a rappresentare un ostacolo insormontabile per la vita professionale e privata di tante persone.

Il congedo parentale è anche per i padri

Come notano i giuristi, c’è uno strano contrasto tra il fatto che la parità di genere tra le lavoratrici e i lavoratori sia stata sancita già dalla Costituzione, all’articolo 37, e l’estrema lentezza con cui questo principio è stato tradotto in disposizioni in grado di aiutare concretamente tutte le persone impegnate in un’attività lavorativa. 

Le prime norme specifiche per la tutela delle madri sono degli anni Settanta del secolo scorso e bisognerà attendere gli anni 2000 perché si pensi di inserire delle tutele e la possibilità di usufruire del congedo parentale anche per il padre lavoratore. Il più grande ostacolo, da questo punto di vista, è senz’altro di ordine culturale, perché ancor oggi l’idea che il ruolo genitoriale e il carico di lavoro, mentale e fisico, che comporta siano un compito prevalentemente materno è molto diffusa ed è all’origine di gravi ingiustizie sociali.

Congedo parentale, congedo di maternità e congedo di paternità

Passiamo rapidamente in rassegna i diritti dei genitori lavoratori, rimandando per le informazioni più complete alle fonti normative, comprese quelle che disciplinano i diversi ambiti e casi.

La madre ha diritto a un congedo di maternità obbligatorio che, in assenza di ulteriori problemi legati alla gravidanza, copre 5 mesi. I 3 mesi dopo il parto si estendono al padre in caso di decesso o grave infermità della madre, oppure in situazioni di abbandono o affido esclusivo. Un congedo di massimo 5 mesi spetta anche al padre o alla madre in caso di adozione, da fruire entro i 5 mesi dal giorno successivo all’ingresso in famiglia del figlio o della figlia.

Il padre lavoratore ha diritto al congedo di paternità obbligatorio entro i 5 mesi dalla nascita del figlio (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento); per il 2021, è pari a 10 giorni, a cui se ne può aggiungere uno facoltativo.

Il congedo parentale (cioè la possibilità, per un genitore, di assentarsi dal lavoro) spetta sia alla madre sia al padre, per un massimo di 6 mesi per ciascun genitore, entro il dodicesimo anno di vita del bambino o bambina e per un massimo di 10 mesi tra i due genitori, che possono essere elevati a 11 in determinate condizioni. I permessi per malattia del figlio spettano al padre e alla madre senza limiti fino ai 3 anni del minore e ammontano a 5 giorni per genitore fino agli 8 anni del piccolo.

Oltre il congedo parentale: le norme contro la discriminazione

Soffermiamoci in particolar modo su alcune norme inserite nel Decreto Legislativo 26 marzo 2001, N. 151, denominato Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità (che riprende, a sua volta, le norme precedenti), e che hanno lo scopo di evitare alcune condotte discriminatorie, le cui vittime sono soprattutto le lavoratrici.

Si sottolinea il divieto di discriminazione sulla base del sesso, ribadendo come la maternità o la paternità non debbano essere causa di un trattamento meno favorevole in ambito lavorativo, per esempio nell’attribuzione delle mansioni o nella progressione di carriera.

Allo stesso modo, salvo specifici casi, non è possibile licenziare una lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno d’età del bambino o bambina (il divieto di licenziamento si applica anche in caso di affidamento o adozione). La lavoratrice licenziata ha diritto a essere reintegrata nel proprio posto di lavoro presentando, entro 90 giorni dal licenziamento, la documentazione relativa al proprio stato di gravidanza o puerperio.

Eventuali dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice in gravidanza, o dal lavoratore o lavoratrice durante i primi tre anni di vita del figlio, o nei primi tre anni in caso di minore in affidamento o adottato, sono sottoposte alla convalida del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro. Questo perché, come vedremo, non sono rari i casi di abusi perpetrati soprattutto ai danni delle lavoratrici.

In gravidanza e fino a 7 mesi dopo il parto le donne non possono essere adibite a lavori pericolosi, faticosi o insalubri e va valutata attentamente l’esposizione al rischio tenendo conto di queste specifiche condizioni. Allo stesso modo, in gravidanza e per il primo anno di vita del bambino la lavoratrice non svolge lavoro notturno. La lavoratrice ha, inoltre, diritto a permessi retribuiti per effettuare gli esami di controllo per il monitoraggio della gravidanza e per le visite specialistiche.

Durante i periodi di congedo parentale, madre e padre hanno diritto a conservare il proprio posto di lavoro e a rientrare al termine degli stessi, senza che l’assenza comporti demansionamento o un’altra forma di riduzione dei propri diritti.

I diritti negati e apertamente violati

I casi di violazione dei diritti di legge di lavoratrici e lavoratori in rapporto a gravidanza e maternità/paternità sono ancora, purtroppo, molti. L’emergenza pandemica, come abbiamo già avuto modo di mettere in rilievo in questo articolo, ha ulteriormente aggravato la situazione, che vede come principali vittime le donne.

Il gap di genere (cioè il divario di diritti che si registra tra uomini e donne, con un notevole impatto anche sull’aspetto economico) è evidente, sottotraccia, anche in fase di reclutamento per un posto di lavoro. Si registrano ancora numerosi casi di aziende poco disposte ad assumere donne che si suppone possano decidere di avere figli. Sebbene le domande in tal senso siano espressamente vietate nel corso dei colloqui di lavoro, perché gravemente discriminatorie, si tratta di una prassi ancora frequentemente registrata, anche in forme implicite o surrettizie, come ha messo in luce, per esempio, un’indagine svolta da Save the Children [1] .

Sono molte le lavoratrici che riferiscono di ricevere pressioni, più o meno dirette, a evitare di programmare gravidanze da parte dei datori di lavoro e a rinunciare a permessi o a flessibilità oraria per la maternità. Il diritto al rientro viene, di fatto, ridimensionato da un frequente demansionamento: le lavoratrici vengono adibite allo svolgimento di compiti magari analoghi a quelli ricoperti in precedenza solo sulla carta, ma, in effetti, meno qualificanti e più penalizzanti sul piano della progressione di carriera, che viene messa in serio pericolo.

Molte riferiscono di aver subito regolarmente mobbing e di essere state indotte a rinunciare al lavoro. Il problema delle dimissioni “volontarie” (ma in realtà provocate da un atteggiamento gravemente lesivo della dignità della lavoratrice) è tuttora molto diffuso [2] , insieme al perdurare di richieste contrarie alla legge come quella della firma di fogli di dimissioni in bianco.

Si registrano ancora fenomeni come la fruizione sbilanciata del congedo parentale tra uomini e donne. Sebbene nel corso del tempo si sia registrata una maggiore richiesta, da parte dei padri, di fruire del congedo parentale, l’influenza della cultura che assegna il ruolo di cura dei figli in netta prevalenza alla donna fa ancora sentire fortemente il suo peso e diversi padri lavoratori riferiscono di pressioni dirette o indirette a evitare il congedo parentale, rendendo ancora molto lontano l’obiettivo della parità.

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Anna Rita Longo

Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.

Articolo pubblicato il 09/06/2021 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura damircudic / iStock

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