Autismo: un segnale per individuarlo prima

Una nuova ricerca scientifica fa sperare che in futuro si arrivi a una diagnosi precoce dell’autismo, prima del secondo anno di vita

Immagine per l'autore: Mattia Maccarone
Mattia Maccarone , neurobiologo e giornalista scientifico
Bambina di spalle con il suo orsacchiotto

I sintomi dell’autismo hanno a che fare con il comportamento e la socialità (vedi anche il nostro articolo sulla sindrome di Asperger), ed emergono già nei primi anni di vita quando nel bambino cominciano a manifestarsi alcune anomalie comportamentali. Un esempio? Il mancato contatto visivo tra mamma e figlio, il bambino non risponde al suo nome, preferisce giocare da solo, non è capace di chiedere cosa desidera, ecc. In particolare, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), a partire dai due anni un bambino ogni 160 riceve la diagnosi di disturbo dello spettro autistico (ADS).

La situazione peggiora se il bambino è ad alto rischio, ossia se ha un fratello maggiore affetto, perché avrà 1 probabilità su 5 di sviluppare a sua volta una sindrome autistica. Secondo gli esperti, però, la malattia inizia a manifestarsi molto prima, probabilmente durante lo sviluppo fetale, ma oggi è ancora impossibile fare una diagnosi nei primi mesi di vita, quando un intervento terapeutico avrebbe maggiore efficacia. Quello che manca per anticipare i tempi della diagnosi è la possibilità di rintracciare una causa genetica univoca dell’autismo e la presenza di esami di laboratorio in grado di predire lo sviluppo del disturbo appena dopo la nascita.

Risonanza magnetica

L’analisi di numerose immagini di risonanza magnetica del cervello di oltre 100 bambini ha permesso a psichiatri, neuroscienziati e biostatistici dell’Università del North Carolina e dell’Università di Washington, in collaborazione con IBIS Networks (Infant Brain Imaging Study) e altri centri di ricerca, di anticipare la diagnosi in bambini ad alto rischio entro il primo anno di vita.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature e fa sperare che una diagnosi precoce di autismo sia possibile e che costituisca la premessa per l’attuazione di terapie più efficaci. Anticipare i tempi della diagnosi, infatti, potrebbe essere cruciale per il bambino, perché permetterebbe di intervenire sullo sviluppo del suo cervello quando si trova in un periodo di massima plasticità, ossia di modifica di struttura e funzioni, e quindi prima che i segni del disturbo autistico si manifestino.

Volume del cervello

Quello che hanno notato gli autori dello studio pubblicato su Nature è che, se durante il primo anno di vita l’aumento del volume del cervello è superiore al normale, vi è un rischio elevato che al bambino venga diagnosticato un disturbo dello spettro autistico una volta arrivato a due anni. In realtà già in passato i ricercatori avevano notato come il cervello dei bambini affetti da autismo fosse più grande rispetto a quello degli altri bambini nella medesima fase dello sviluppo. Tuttavia, non erano riusciti a scoprire quando questa crescita anomala avesse inizio.
Gli autori dello studio hanno ora scoperto che l’eccessivo tasso di crescita della superficie corticale, lo strato più esterno del cervello, nel primo anno di vita è legato a un aumento del tasso di crescita del volume del cervello nel secondo anno di vita. E questo aumento è correlato alla comparsa di comportamenti autistici nelle relazioni sociali.

Diagnosi

«Attualmente, la diagnosi di autismo viene fatta fra i due e quattro anni, quando i bambini possono essere già rimasti indietro rispetto ai loro pari in termini di abilità sociali, comunicazione e linguaggio» racconta Annette M. Estes, coautrice dello studio. «Noi speriamo che un intervento precoce, prima dei due anni, possa cambiare il decorso clinico per quei bambini il cui sviluppo cerebrale sia stato eccessivo, e li aiuti ad acquisire capacità che altrimenti non riuscirebbero ad avere».

La casistica, però, per ora è troppo limitata per considerare i risultati affidabili e lo studio necessita di ulteriori conferme su gruppi più ampi di bambini. Se venisse confermata la sua efficacia, la tecnica diagnostica sarebbe per ora applicabile solo ai bambini ad alto rischio, ossia con parenti già affetti da questo disturbo, e in futuro bisognerebbe verificare se è possibile applicare la stessa procedura per predire l’autismo in tutta la popolazione.

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Mattia Maccarone

neurobiologo e giornalista scientifico, ha svolto attività di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e collaborato in veste di autore per riviste come Le Scienze, Mind e Wired.

Articolo pubblicato il 02/03/2017 e aggiornato il 22/09/2022

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