Sostituti del latte materno: quale scegliere?

Il maggior costo di alcune formule sostitutive dipende dalle spese che la ditta produttrice sostiene per la pubblicità, non da una migliore qualità

Immagine per l'autore: Sergio Conti Nibali
Sergio Conti Nibali , pediatra e consulente scientifico di Uppa
Bambino che beve dal biberon un sostituto del latte materno

Un sostituto del latte materno (per sostituti si intendono le soluzioni in formula, non altri tipi di latte naturale) per essere immesso in commercio in Europa deve, per legge, essere sottoposto a controlli per verificare se i vari costituenti sono quelli stabiliti e le loro quantità rientrano nel novero previsto da una specie di formulario che prende il nome di Codex Alimentarius. Tutte le ditte che producono i sostituti del latte materno devono, dunque, attenersi a queste regole nella loro produzione. Sono tollerate delle piccole variazioni sia per quanto riguarda la composizione, sia la quantità dei costituenti; tuttavia queste piccole differenze non sono tali da rendere differenti la qualità di un latte rispetto a un altro, né è dimostrato che possano incidere sulla salute dei lattanti.

Perciò tutti i sostituti del latte materno per un neonato sano (latte 1 e latte 2) sono da considerarsi, dal punto di vita nutrizionale, equivalenti e, come tali, non ci sono motivi scientifici che possano giustificare la preferenza di una formula rispetto a un’altra, o di una marca rispetto a un’altra.

I presunti vantaggi attribuiti dalla pubblicità

È naturale che ciascuna delle ditte che produce i vari sostituti abbia l’obiettivo di venderne il più possibile, per cui spesso le strategie commerciali puntano sulle piccole differenze nella composizione dei prodotti, a cui la pubblicità attribuisce vantaggi nutrizionali ed effetti benefici; per esempio ci può essere chi spinge sui pediatri perché prescrivano un prodotto contenente una sostanza, mancante o presente in differente quantità nel prodotto di una ditta concorrente, che farebbe sviluppare meglio la vista o le capacità intellettive del lattante che lo assume. Queste affermazioni non sono del tutto campate in aria, ma spesso fondate su ipotesi plausibili dal punto di vista biologico.

Tuttavia raramente è stata dimostrata scientificamente, con studi appositi, una reale differenza tra bambini allattati con formule diverse, senza dire che tutti questi studi non sono proprio indipendenti, dato che sono finanziati dall’industria stessa. D’altra parte capirete bene che, se mai fosse realmente dimostrato che piccole variazioni nella composizione del latte artificiale comportassero un reale beneficio nella salute dei lattanti, le tabelle che regolano la composizione dei sostituti del latte materno dovrebbero essere subito modificate per adeguarle alle nuove conoscenze scientifiche.

Ma allora, se un sostituto vale l’altro, perché in commercio se ne trovano con prezzi tanto diversi? Il più costoso è di migliore qualità? La risposta è no, senza se e senza ma. Il maggior costo dipende in gran parte dalle spese che la ditta produttrice sostiene per la pubblicità e che poi fa pagare all’utente finale.
In sintesi, il messaggio pratico è che nella scelta di un sostituto del latte materno, a parità di formula (di partenza o latte 1, di “proseguimento” o latte 2), sono i genitori che possono scegliere la marca visto che tutte sono equivalenti.

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Sergio Conti Nibali

pediatra, è responsabile del gruppo nutrizione dell’Associazione Culturale Pediatri e fondatore dei “No Grazie”. È tutor e valutatore per l’iniziativa “Insieme per l’allattamento” dell’UNICEF. È stato direttore di Uppa magazine tra il 2016 e il 2021, è autore di oltre duecento pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali e membro del comitato editoriale di «Quaderni ACP».

Articolo pubblicato il 24/06/2013 e aggiornato il 22/09/2022

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