Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva

Non possiamo crescere un figlio senza crescere noi stessi. A tal proposito sarà importante utilizzare la propria intelligenza emotiva, competenza che ci permette di risultare comprensibili all’altro

Giuditta Mastrototaro , pedagogista
intelligenza emotiva

Quante volte vi capita di vivere momenti faticosi con i vostri figli? Cercate magari di spiegar loro che per fare una determinata cosa occorre aspettare, o che quella cosa proprio non si può fare, e subito dopo avete la sensazione di non essere ascoltati. È proprio in questi momenti che ci si può arrabbiare (anche fino a perdere il controllo), oppure ci si rattrista perché non si sa bene come gestire la situazione. A tal proposito, sarà importante sviluppare la propria intelligenza emotiva, competenza utile a renderci comprensibili al mondo dell’altro. Del resto, se non partiamo proprio dall’altro – ovvero da come l’altro sente e vede il mondo – come facciamo a pretendere che il bambino comprenda quello che vogliamo trasmettergli?

Vivere felici

Lo psicologo Daniel Goleman ha divulgato il concetto di intelligenza emotiva partendo dagli studi delle neuroscienze. Sviluppare le competenze intellettive non è sufficiente, occorre sviluppare appunto l’intelligenza emotiva per vivere felici e stare bene con sé stessi e con gli altri. Ecco le parole dell’autore: «Nessuna intelligenza è più importante di quella interpersonale. Se non ne avete, prendete la decisione sbagliata riguardo alla persona da sposare, il lavoro da fare e così via. Dobbiamo addestrare già a scuola le intelligenze personali».

Il cervello primitivo

Fin dalla nascita i bambini desiderano stare a contatto con tutto ciò che evoca in loro il piacere fisico ed emotivo (come ad esempio il contatto pelle a pelle) e rifuggono da tutto ciò che è legato a sensazioni sgradevoli, come la paura di essere lasciati soli. Questi bisogni sono strettamente collegati alle funzionalità del cervello primitivo ed emotivo. Si potrebbe osservare una certa analogia tra l’evoluzione dell’uomo – da primitivo a moderno – e lo sviluppo del bambino. Fino al primo anno di età, infatti, il piccolo è guidato dalla parte più emotiva del cervello, quella che lo spinge alla sopravvivenza: cibo, calore, affetto e sicurezza. È per questo che risulta spesso inefficace spiegare a un bambino di questa età cosa ci si aspetta da lui utilizzando argomentazioni: il piccolo non capirà.
Gradualmente, però, la parte “primitiva” del cervello, che si trova nella zona inferiore, si integrerà con le funzionalità di quella superiore, formata dai due emisferi: destro (pensiero creativo e immaginativo) e sinistro (pensiero verbale e analitico). Con lo sviluppo, il piccolo inizia anche ad attingere alle sue competenze verbali, logiche, razionali e simboliche. Ecco che la parola – inizialmente una per volta – diventa strumento comunicativo.

Il “sequestro emozionale”

Anche nelle successive fasi di crescita sarà inevitabile per i genitori trovarsi alle prese con un bambino che esprimerà in modo molto forte i suoi bisogni. Goleman definisce questo stato emotivo “sequestro emozionale”: di fronte a uno stimolo (la fame per i più piccoli, un “no” detto dal genitore per i più grandi) il bambino urla, piange, muove con veemenza braccia e gambe. In sostanza, il suo cervello istintuale-primitivo prende il sopravvento sulla parte logica e verbale. Essere empatici in questi momenti aiuta; se invece reagiamo a nostra volta, non siamo più parte della soluzione ma diventiamo parte del problema relazionale.
Ecco le domande che possono aiutarci a sviluppare un’intelligenza emotiva che sia d’aiuto anche ai nostri figli:

  • Che cosa provo nel momento in cui il bambino esprime tutta la sua rabbia o frustrazione?
  • Come posso aiutarlo a calmare la reazione di questo momento? 
  • Riesco a riconoscere quando mio figlio è sopraffatto da emozioni come l’angoscia, la rabbia e la frustrazione, senza esserne contagiato io stesso?

Secondo l’autore l’intelligenza emotiva è costituita da almeno quattro competenze che occorre sviluppare: conoscere e gestire le proprie emozioni, motivare sé stessi, riconoscere le emozioni altrui, saper entrare in relazione. Ecco di seguito qualche riflessione che può aiutarci a sviluppare queste funzioni con i nostri bambini.

L’empatia

Si tratta proprio di quella competenza che aiuta a imparare a leggere le emozioni. Come genitori siamo chiamati a stare dalla parte dei nostri figli e delle loro emozioni. Di fronte a una scatola vuota di biscotti che il bambino vuole mangiare, non aiuta dire: «Smettila di fare i capricci” o far finta di niente, lasciando il piccolo da solo con la sua frustrazione. Sarà invece più utile dire: «Oh no! Dove sono finiti i biscotti? Non ce ne sono più, è davvero brutta questa cosa e ci credo che sei arrabbiato, perché volevi mangiarli e invece sono finiti». È molto difficile arrabbiarsi violentemente quando qualcuno è dalla nostra parte.
Allo stesso modo, piuttosto che interrogare il bambino su com’è andata a scuola – per carpire i suoi vissuti –, a volte è meglio partire da noi stessi, raccontando la nostra giornata e i nostri sentimenti, e aspettare che lui voglia fare altrettanto.

Sviluppare la capacità di auto motivarsi

Se diciamo a un bambino di non fare una certa cosa e lui non segue la nostra raccomandazione, è bene ricordarci che il piccolo è in una fase in cui sta imparando la capacità di perseguire i suoi obiettivi e che questa competenza gli sarà molto utile nella vita. Occorrerà quindi, in qualità di genitori, trovare un equilibrio tra il lasciar andare e il trattenere. Affannarsi in continuazione per dirgli cosa deve fare («Non ti sporcare»; «Non correre») o come deve fare non è utile; meglio cercare di dire pochi “no” – quelli necessari –, affinché il bambino si senta libero di ascoltare sé stesso e di assecondare i propri interessi.

Riconoscere e gestire gli impulsi

Il bambino impara gradualmente a gestire gli impulsi fisici, come fare la cacca o la pipì: prima deve essere consapevole dello stimolo e solo in un secondo momento sarà in grado di controllarlo. Allo stesso modo, gli impulsi emotivi hanno bisogno di gradualità per essere rielaborati. Ad esempio, se il bambino, in preda alla collera, sbraccia e vi picchia, va reso partecipe del fatto che vi sta facendo male. Sarà anche necessario dirgli in modo chiaro che non vi piace quell’atteggiamento e fermarlo prendendogli la mano, fin quando non sarà in grado di gestire questo impulso da solo. Anche quando sarà più grande e si misurerà con la scuola, il saper gestire i propri impulsi (come ad esempio rinviare le gratificazioni, concentrarsi, regolare le proprie emozioni per non scoraggiarsi quando un compito non è facilmente comprensibile) sono elementi importanti per il successo apprenditivo.

Sviluppare la resilienza

È naturale e sano che il bambino si scontri con dei limiti, ed è altrettanto naturale e sano che, in seguito a questo, provi rabbia e frustrazione. Quando ciò si verifica, il nostro istinto in quanto genitori è quello di proteggerlo, ma non ci sarà sempre possibile: un ginocchio sbucciato o il non poter mangiare tutte le caramelle che ci sono nel barattolo fanno parte delle “esperienze del limite”. Anche in questi frangenti, però, possiamo essere empatici nei confronti del piccolo, sostare con lui nella delusione e, allo stesso tempo, fargli da guida. Quando invece una certa esperienza risulta traumatica per il bambino, occorre essere flessibili: gli stress emotivi possono tradursi in immagini che si imprimono nella mente e che vengono fuori durante gli incubi notturni, oppure dar vita a paure terrorizzanti. Ciò che possiamo fare, in questi casi, è lasciare che il piccolo esprima le immagini che probabilmente ha registrato dentro di sé, tramite il linguaggio verbale o corporeo, ma anche attraverso il disegno o il gioco simbolico del “far finta”, in modo che possa metterle in scena più e più volte. Riuscire a tirare fuori il proprio vissuto gli permetterà di rielaborare l’evento traumatico e lo aiuterà ad acquisire resilienza, ossia ritrovare fiducia in sé stesso e nelle proprie risorse per ritrovare un nuovo equilibrio.

Accrescere le competenze relazionali

Queste competenze possono essere definite come la capacità empatica di comprendere gli altri, di raggiungere accordi rispettosi dei bisogni di ognuno, di creare connessioni positive, di essere consapevoli delle proprie emozioni ed esprimerle in modo assertivo. Si apprendono dall’esempio dei genitori e dal loro modo di porsi di fronte alle difficoltà, alle divergenze e dal loro modo di gestire le emozioni forti; è per questo che risulta sempre più importante curare la propria crescita personale e aspirare a essere una valida guida educativa.
Le competenze relazionali si apprendono anche nelle relazioni con i compagni, gli amici, le insegnanti eccetera: ogni volta che il piccolo è inserito in un nuovo contesto sociale accresce e ristruttura le competenze apprese in precedenza, quindi è importante cercare di coltivare ambienti che siano a misura del proprio bambino.
In conclusione, se ci sta a cuore lo sviluppo dell’intelligenza di nostro figlio, ricordiamoci che non è sufficiente valutare il QI (Quoziente intellettivo), ricavato da un test standardizzato, ma occorre anche accompagnarlo nello sviluppo di un’intelligenza emotiva, che può permettergli di vivere una vita felice nelle sue relazioni. Questo sviluppo della persona nella sua interezza è un’avventura che può essere conquistata giorno per giorno insieme a lui.

Giuditta Mastrototaro

pedagogista ed esperta nelle relazioni educative familiari, si occupa di favorire relazioni empatiche. Ha lavorato in progetti educativi rivolti a minori e famiglie in situazione di svantaggio sociale e disagio scolastico, è insegnante di massaggio infantile e consulente alla pari in allattamento. È autrice del libro Nascere e crescere alla luce dell’educazione empatica.

Articolo pubblicato il 03/10/2019 e aggiornato il 26/10/2022
Immagine in apertura shapecharge / iStock

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