Essere resilienti: cosa significa davvero?

Si parla spesso di “resilienza”, ma non sempre è chiaro che cosa significhi nella pratica. I bambini possono imparare a essere resilienti? Vediamolo insieme

Michela Ranalli , psicologa
Bambino che viene sollevato in aria dal papà, entrambi per terra

La resilienza non è una dote innata né una capacità di «resistere» senza difficoltà, ma un processo dinamico che permette a bambini e adulti di adattarsi agli eventi critici grazie a relazioni sicure e a un ambiente supportivo. In questo articolo vengono chiarite le idee più diffuse ma scorrette, come l’erronea associazione tra resilienza e iper-autonomia, oppure l’idea che si sviluppi “da sola” attraverso sfide sempre più impegnative. Vengono esplorati i fattori che davvero la favoriscono – dal legame di attaccamento alle competenze emotive – e il ruolo degli adulti nel riconoscere segnali di stress tossico o sovraccarico. Si approfondisce anche il valore della regolazione emotiva e dell’autoefficacia, competenze che sostengono il percorso resiliente senza idealizzare la sofferenza né negare le fragilità.

Resilienza è una parola che ultimamente si sente e si utilizza spesso. Ma cosa si intende davvero con questo concetto? Siamo forse tutti resilienti? Un bambino può essere resiliente? Cerchiamo di fare chiarezza. 

Che cos’è la resilienza?

La resilienza è la capacità degli individui di far fronte allo stress e alle avversità uscendone rafforzati, di saper resistere e di riorganizzare positivamente la propria vita e le proprie abitudini a seguito di un evento critico negativo. Si tratta quindi di una reazione attiva alla frustrazione e al disagio, di una risposta tesa a trovare nuove possibilità e nuove prospettive di evoluzione e promozione del benessere.  

La prima definizione psicologica di tale concetto si deve a Michael Rutter che, studiando bambini nati da madri schizofreniche, definì la resilienza come «risposta positiva di un soggetto allo stress e alle condizioni avverse». Si tratta di un «concetto interattivo che deriva dalla combinazione di esperienze di rischio gravi con una riuscita psicologica relativamente positiva», e da «un’interazione dinamica tra fattori di rischio e fattori protettivi appartenenti a diversi livelli» [1] . Successivamente Emmy E. Werner ‒ a seguito del suo studio trentennale su un gruppo di bambini a Kauai (Hawaii) che vivevano in condizioni di estrema povertà e in un ambiente familiare problematico ‒ parlò di resilienza nei termini di «consolidamento delle competenze del soggetto posto in situazioni stressanti». 

Gli studi hanno dimostrato che non esiste un’unica forma di resilienza. Essa infatti è multidimensionale e determinata da numerosi elementi, quali ad esempio predisposizioni genetiche, fattori ambientali, abilità personali e sociali. 

Nel loro lavoro sulla resilienza, Maria Antonella Costantino e Mauro Camuffo sottolineano come essa non possa essere considerata una condizione statica o permanente. Si può essere resilienti in alcuni momenti della vita e non in altri; di fronte a un certo evento, e non di fronte a un altro: «La resilienza si riferisce a un generale stato di adattamento nella vita quotidiana e gli stessi fattori protettivi non possono essere considerati attributi fissi» [2] . 

Gli ingredienti della resilienza

Esistono alcuni fattori individuali (caratteristiche personali) e sociali (la famiglia di appartenenza e i sistemi di supporto comunitario) che possono rendere più probabile una risposta resiliente. Franca Cantoni individua in particolare cinque ingredienti che favoriscono la resilienza

  • Ottimismo. Bisognerebbe cercare di pensare ai problemi come a una componente inevitabile della vita, ricordando sempre che le avversità sono transitorie, superabili e derivanti da un intreccio di variabili, alcune delle quali indipendenti dal nostro controllo. 
  • Autostima e autoefficacia. È importante avere una base personale sicura, stima per sé stessi, e possedere la consapevolezza non solo delle proprie risorse, ma anche dei propri limiti. 
  • Resistenza psicologica (hardiness). È un tratto di personalità associato alla capacità di gestire e rispondere agli eventi stressanti con nuove strategie di coping che trasformano le situazioni difficili in opportunità di apprendimento.
  • Emozioni positive. È fondamentale concentrarsi su ciò che si possiede invece che focalizzarsi su ciò che manca. 
  • Sostegno sociale. Non bisognerebbe mai dimenticare di trovare e coltivare uno spazio sicuro in cui poter essere accolti e ascoltati. 

Genitori resilienti

Cosa significa essere genitori resilienti? Di certo non vuol dire non avere debolezze o non sentirsi mai in difficoltà; non vuol dire avere sempre la risposta giusta o sapere esattamente cosa fare in ogni momento. Essere genitori è già di per sé una condizione “particolare”, colma di nuove sfide e di nuove avventure che ognuno impara a gestire e ad affrontare a modo suo, senza avere a disposizione un manuale di istruzioni valido per tutti e per ogni occasione. 

Porsi in maniera resiliente, dunque, significa trovare la maniera per non focalizzarsi solamente sulle vulnerabilità, le incertezze e le situazioni di disagio dei figli, ma riuscire a coltivare e rafforzare le loro risorse e le loro abilità, affinché trovino in autonomia un modo per far fronte alle avversità che incontreranno nel corso della vita, grandi o piccole che siano.

Consigli utili per aiutare i bambini a coltivare la resilienza

La resilienza, dunque, non è qualcosa che si ha o non si ha, ma una predisposizione che può essere coltivata e favorita, a partire dall’infanzia. In che maniera? Ecco qualche suggerimento:

  • Dare valore alle relazioni. Insegniamo ai bambini l’importanza di una rete sociale, stimoliamoli a fare amicizia e incoraggiamoli a essere presenti per le altre persone. Costruiamo noi stessi una rete familiare e sociale che possa essere loro di sostegno e di esempio.
  • Procedere un passo alla volta. Aiutiamo i bambini a comprendere che non è necessario raggiungere tutto subito: è importante prenderci il nostro tempo, fare un passo alla volta e concederci qualche pausa. In questo modo la distanza che ci separa dai nostri obiettivi diventerà a mano a mano più corta, ma non rischieremo di stancarci troppo. 
  • Indossare le lenti dell’ottimismo. Cerchiamo di essere noi stessi i primi a portare degli occhiali attraverso cui guardare il mondo in maniera “positiva”; occhiali che poi potremo passare ai nostri figli per permettere loro di scorgere lati favorevoli anche in situazioni difficili. Aiutiamo i bambini a comprendere che la vita è fatta di alti e bassi, come un elettrocardiogramma: la linea piatta non indica uno stato di quiete e benessere, ma la fine della vita.
  • Riconoscere l’importanza del cambiamento. Facciamo capire ai bambini che il cambiamento e le novità sono parte integrante della vita e danno l’opportunità di imparare e di intraprendere percorsi talvolta impensati verso nuovi obiettivi.
  • Accettare la frustrazione. È importante lasciar sperimentare ai bambini la frustrazione e le sconfitte nel tentativo di raggiungere qualche obiettivo, evitando di sostituirsi a loro nella risoluzione di problemi o difficoltà. Solo in questo modo saranno preparati a far fronte alle situazioni critiche in cui si troveranno nel corso della loro vita.
  • Assumersi le responsabilità. Facciamo in modo che i bambini sperimentino le conseguenze delle proprie azioni, e sosteniamoli quando pensano di non riuscire a fare qualcosa. Allo stesso modo, insegniamo loro ad assumersi la responsabilità di ciò che fanno e di ciò che accade, in modo che comprendano che abbiamo la capacità di controllare le nostre reazioni di fronte agli eventi.

FAQ

Quali segnali indicano che un bambino potrebbe avere bisogno di supporto professionale?
Alcuni segnali che meritano attenzione sono cambiamenti marcati e prolungati nel sonno, nell’alimentazione, nel rendimento scolastico o nelle relazioni; irritabilità o tristezza persistenti; evitamento delle attività quotidiane; lamentele corporee senza causa medica apparente. Non indicano necessariamente un disturbo, ma suggeriscono che il bambino sta affrontando una situazione emotiva faticosa. In questi casi è utile confrontarsi con il pediatra o con un servizio di psicologia dell’età evolutiva.

Come si può favorire la resilienza in famiglia nella vita di tutti i giorni?
Routine prevedibili, ascolto attivo, possibilità di esprimere emozioni e coinvolgimento dei bambini nella soluzione dei piccoli problemi quotidiani sono fattori che rafforzano la resilienza. Anche il modello degli adulti è fondamentale: mostrare modi sani di affrontare le difficoltà aiuta i più piccoli a sviluppare competenze simili. Ogni famiglia può adattare queste strategie al proprio contesto, chiedendo supporto ai professionisti se emergono dubbi o fatiche.

Qual è il ruolo della scuola nel sostenere la resilienza dei bambini?
La scuola può offrire un ambiente stabile, relazioni significative con adulti di riferimento e attività che potenziano autonomia, problem solving e cooperazione. Programmi di educazione socio-emotiva, oggi raccomandati da numerosi enti internazionali, aiutano i bambini a riconoscere emozioni, gestire lo stress e collaborare con i compagni. Per esigenze specifiche, è importante che famiglie e docenti mantengano un dialogo regolare e, se necessario, coinvolgano i servizi territoriali.

Gli eventi stressanti prolungati possono compromettere la resilienza?
Eventi come malattia cronica, lutto o difficoltà economiche possono aumentare la vulnerabilità, ma la presenza di fattori di protezione – relazioni affettive sicure, routine, accesso ai servizi – permette comunque di sviluppare resilienza. In periodi di stress prolungato è utile monitorare il benessere di tutta la famiglia e chiedere supporto ai professionisti quando le strategie abituali non bastano.

Note
[1] Michael Rutter, Implications of resilience concepts for scientific understanding, «Ann N Y Acad Sci», 1094, dicembre 2006
[2] Maria Antonella Costantino e Mauro Camuffo, Trasformazioni del concetto di resilienza e ricadute nella pratica, «R&P», 25, 2009
Bibliografia
  • Franca Cantoni, La resilienza come competenza dinamica e volitiva, Giappichelli, Torino, 2014
  • Werner E. Emmy e Smith S. Ruth, Overcoming the odds: high risk children from birth to adulthood, Cornell University Press, Itaca, 1992
Articolo pubblicato il 30/10/2020 e aggiornato il 19/12/2025
Immagine in apertura fizkes / iStock

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