Allattamento e sensi di colpa

In una cultura del biberon, allattare è una scelta difficile e a farlo ci si sente fuori norma. Ce ne parla l'epidemiologo Adriano Cattaneo

Adriano Cattaneo , epidemiologo
Madre che allatta al seno il proprio bambino

Non lavoro direttamente con le mamme, ma contribuisco a scrivere raccomandazioni di salute pubblica e linee guida per operatori sanitari. Una delle obiezioni che mi rivolgono i colleghi con cui lavoro, quando si raccomanda l’allattamento al seno è la seguente: in questo modo farai sentire in colpa le mamme che non allattano. E siccome so, sempre per il mio lavoro, che le mamme che non allattano possono essere anche le meno privilegiate (più povere, meno istruite, che non lavorano), l’obiezione fa sentire in colpa anche me. Quando poi parlo con colleghe che con le mamme ci lavorano, o quando partecipo a dibattiti nei vari forum e blog sull’argomento, mi rendo conto che il senso di colpa è un argomento sempre all’ordine del giorno.

Tanti e diversi sensi di colpa

Ci sono madri che si sentono in colpa perché non allattano – per scelta o per difficoltà incontrate, come può accadere dopo i parti cesarei –, perché non allattano quanto desidererebbero allattare, perché pensano che il figlio si sia ammalato per non essere stato allattato, perché sono tornate al lavoro e hanno smesso di allattarlo. Ma ci sono anche madri che si sentono in colpa perché allattano troppo spesso o troppo a lungo, o perché tengono il bambino sempre con sé, o ci dormono assieme. Ci si sente in colpa se si fa qualcosa che si sa di non dover fare, o se non si fa qualcosa che si sa di dover fare. Ma, come mostrano gli esempi appena citati, ciò che si deve o non si deve fare non è un comandamento universale; cambia da famiglia a famiglia, da pediatra a pediatra, cambia nel tempo, cambia come cambiano tutte le norme sociali.

In una cultura del biberon, allattare è una scelta difficile e a farlo ci si sente fuori norma. Al contrario, in una cultura dell’allattamento, dare il biberon è un comportamento anormale. Dal sentirsi anormali al sentirsi in colpa il passo è breve, soprattutto in una società nella quale vi è una deriva individualista, nella quale si ritiene che tutti i comportamenti siano frutto di una decisione e di una scelta individuale.

In parte è così, ma i nostri comportamenti sono anche condizionati dalle circostanze e dall’ambiente. Si mangia troppo, si preferisce spostarsi in auto invece che camminando, si sta in pantofole davanti alla televisione, si diventa obesi perché si vive in una società obesogenica, una società che facilità comportamenti dannosi. Solo chi è cosciente di ciò riesce in parte a liberarsene e a comportarsi diversamente, accettando di essere considerato “anormale” (come succede a me quando sbuffo sulla mia bicicletta sulle salite di Trieste).

Ma chi non acquisisce questa coscienza si comporterà nella maniera più facile. E si sentirà in colpa quando vedrà una pubblicità progresso che lo invita a camminare di più, o quando il medico di famiglia gli consiglierà di mangiare meno. Ma la “colpa” non è sua, è in realtà di quei fattori che facilitano uno o l’altro comportamento, ed è responsabilità di tutti noi modificare questi fattori per rendere più facili i comportamenti giusti.

Cosa possono fare gli addetti ai lavori?

Coloro che aiutano le madri ad allattare devono innanzitutto mettersi su un piano di parità, e quindi evitare atteggiamenti autoritari o paternalistici, e aiutare le madri a prendere decisioni informate, senza decidere per loro. E le informazioni che forniscono alle madri devono da un lato essere corrette, aggiornate e indipendenti da interessi commerciali, dall’altro devono puntare sul “come”. Dire a una madre “puoi (o, peggio, devi) continuare ad allattare in maniera esclusiva quando rientri al lavoro” senza dirle quali sono i suoi diritti come lavoratrice, come spremere, conservare e somministrare il suo latte, come continuare ad allattare il figlio all’infuori dell’orario di lavoro, e quale sostegno chiedere al partner e al resto della famiglia, significa dare inizio a quel circolo vizioso che porterà al senso di colpa.

Purtroppo sono ancora la maggioranza gli operatori sanitari, pediatri compresi, che non solo continuano a prescrivere invece che aiutare e sostenere, ma non sono nemmeno in grado di fornire informazioni corrette, aggiornate e indipendenti da interessi commerciali sul come superare gli ostacoli all’allattamento. Questi sì, dovrebbero sentirsi in colpa! Far sentire in colpa le madri equivale a biasimare le vittime.

E cosa possono fare le madri?

Come evitare di sentirsi in colpa? L’unica via da seguire è quella dell’aumento della fiducia in sé stesse, fiducia nella capacità del proprio corpo di produrre latte per quelle che decidono di allattare, fiducia nella capacità di alimentare bene il proprio figlio anche per quelle che decidono di non allattare o che non riescono a superare gli ostacoli che la nostra società frappone all’allattamento. E per aumentare la fiducia in sé stesse bisogna essere bene informati e rispedire al mittente le false informazioni che ci propinano i produttori di sostituti del latte materno e di alimenti per l’infanzia, per esempio durante le cosiddette “settimane dell’alimentazione infantile”. Di nuovo: è chi diffonde false informazioni a doversi sentire colpa. Far sentire in colpa le madri equivale a biasimare le vittime.

Articolo pubblicato il 24/06/2013 e aggiornato il 22/09/2022

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