Attacco di panico nei bambini: come riconoscerlo e affrontarlo?

È un episodio in cui il bambino vive improvvisamente stati molto intensi di paura e ansia, con sintomi psico-fisiologici che tendono ad angosciarlo e bloccarlo. In questa situazione, è utile assumere un atteggiamento fermo ed empatico, attraverso parole che riconoscono il disagio del piccolo

Tiziana Mannello , psicologa e psicoterapeuta
Mamma consola bambino che piange

Come possiamo riconoscere un attacco di panico nei bambini da altre forme di paura e ansia infantile? Cosa possiamo fare per aiutare i bambini a calmarsi quando sono in panico? E dopo? L’ansia è una condizione psicofisica che siamo abituati a riferire agli adulti. Eppure, negli ultimi anni essa è diventata frequente anche tra i bambini e gli adolescenti.

In questo articolo, proveremo a chiederci insieme cosa accade quando l’ansia si presenta attraverso un attacco di panico nei bambini. È importante distinguere tra le normali paure infantili e i veri e propri vissuti di ansia.

La paura è un’emozione fondamentale che i bambini vivono fin dai primi mesi di vita e ha l’importante funzione di proteggere da pericoli presenti e riconoscibili, attivando risposte di fuga e di ricerca di sicurezza. L’ansia è uno stato di agitazione interiore e di allarme di fronte a situazioni pericolose che si teme si possano verificare nel futuro con conseguenze catastrofiche, anche se tali situazioni sono poco probabili nella realtà. Questo stato psico-fisico attiva risposte di evitamento che possono portare a rifiutarsi di affrontare le situazioni temute.

L’ansia, rispetto alla paura, è quindi riferita più al futuro che al presente, alle conseguenze delle situazioni più che alle situazioni stesse, a situazioni temute ma improbabili, più che a situazioni contingenti e reali. Inoltre, non tutte le ansie sono uguali. 

Come riconoscere un attacco di panico nei bambini?

Avere paura è normale, a tutte le età, anche da piccolissimi. Le paure infantili sono riferite a situazioni di pericolo percepite come tali dai bambini stessi, in base all’età e alla fase della loro crescita:

  • a 0-12 mesi, i bambini hanno paura di forti rumori, oggetti di grandi dimensioni, estranei;
  • a 1-3 anni, hanno paura del buio, delle ombre, di dormire da soli, di separarsi dai genitori, dei temporali, dei rumori forti;
  • a 3-5 anni, hanno paura degli insetti, dei dottori, di rimanere da soli nelle stanze;
  • a 6-11 anni, hanno paura dei fantasmi, di perdere le persone care, di essere rapiti, di non andare bene a scuola, di deludere i genitori, di essere rifiutati dai compagni.

Quando i bambini hanno paura, gli adulti intorno a loro possono aiutare il bambino a individuare e nominare lo stimolo pauroso, descrivere le sue reazioni di fronte a esso, fornirgli un supporto nella ricerca di strategie per affrontare la paura, aiutandolo così a confrontarsi con essa e superarla:

«Ho capito che sei scappato via perché hai paura di entrare da solo nella stanza; può essere pauroso entrare senza sapere chi c’è dentro. Vieni entriamo insieme e vediamo che non c’è nessuno, così puoi stare tranquillo»

Anche nei bambini, ci sono ansie con una funzione positiva di adattamento e di stimolo. Ad esempio, l’ansia prima di una gara sportiva può diventare una spinta motivazionale e far sperimentare al bambino che, nonostante l’agitazione iniziale, la sua prestazione e il suo divertimento non vengono compromessi in modo significativo.

Quando, invece, l’ansia nei bambini si fa più intensa e lo stato di agitazione dura più a lungo, o quando è riferita a situazioni non tipiche per l’età, il disagio può essere così difficile da gestire che i bambini possono preferire non confrontarsi con la situazione che lo genera. E, negli ultimi tempi, sono in aumento i casi di ansia nei bambini.

Ad esempio, la normale agitazione all’idea di stare lontani dai genitori può trasformarsi in una vera e propria ansia da separazione, cioè in una condizione di preoccupazione costante che può portare i bambini a non riuscire a stare senza di loro, a non andare a scuola per il timore che nessuno li vada a riprendere, che possa nel frattempo succedere qualcosa di brutto ai loro genitori, che a casa la situazione possa farsi complicata in loro assenza.

In situazioni come questa, l’ansia può arrivare a compromettere il funzionamento del bambino in alcuni ambiti essenziali dell’esperienza (la scuola, lo sport, le amicizie, la famiglia), segnando un discrimine importante tra ansia normale e ansia patologica.

Che cos’è invece un attacco di panico? E quali sono le caratteristiche di un attacco di panico nei bambini?

L’attacco di panico è un episodio in cui il bambino vive improvvisamente stati molto intensi di paura e ansia, con sintomi psico-fisiologici che tendono ad angosciarlo e bloccarlo.

I sintomi dell’attacco di panico nei bambini raggiungono il picco in una decina di minuti, potendo durare fino a mezz’ora circa. Ecco i principali:

  • palpitazioni («mi scoppia il cuore»);
  • sudorazione («mi sudano le mani, la faccia, il collo»);
  • tremori o agitazione («mi sento molto agitato», «mi tremano tanto le mani, le gambe che non riesco a fermarle»);
  • sensazione di affanno o soffocamento («non riesco a respirare, soffoco»);
  • nausea o mal di pancia («mi viene da vomitare», «mi fa male la pancia»);
  • sensazioni di vertigini, capogiri, svenimento («mi sento la testa vuota», «mi sento la testa che gira», «mi fa male la testa», «mi sento di cadere», «mi sento svenire»);
  • brividi o vampate di calore improvvisi;
  • sensazioni di torpore o formicolio («mi sento le formichine ai piedi/alle mani»);
  • sensazione di irrealtà, di distacco da se stessi («mi sento come in un film», «mi sento come se mi guardassi da fuori»);
  • paura di perdere il controllo o impazzire;
  • paura di morire;
  • preoccupazione che l’attacco si possa ripetere in futuro («e se mi succede ancora?», «e se poi vomito veramente?», «e se poi svengo veramente?»);
  • evitamento di attività per paura di vivere un altro episodio di panico («meglio che oggi non vado a scuola sennò ho paura di stare di nuovo male in classe», «non voglio andare a calcio sennò ho paura che mi torni l’ansia forte dell’altra volta»).

Alcuni sintomi sono più ricorrenti come, ad esempio, i tremori e l’agitazione fisica, il mal di pancia e la nausea, le palpitazioni e la sensazione di soffocamento, il mal di testa o la sensazione di svenire. Può capitare che i bambini in panico piangano o urlino, respirando più velocemente e male. Questo può creare una difficoltà nella respirazione che, a sua volta, aumenta il loro stato di agitazione. Altri sintomi sono meno frequenti, come la paura di morire o d’impazzire, l’eccessiva preoccupazione che l’attacco di panico possa ripetersi in futuro; ciò in quanto la morte, la follia e il futuro sono esperienze e dimensioni psicologiche normalmente meno attive nella mente dei bambini, soprattutto dei più piccoli.

Cosa fare se un bambino ha un attacco di panico?

A questo punto, chiediamoci insieme cosa possiamo fare noi genitori, noi adulti per aiutare un bambino con attacco di panico. Nel momento in cui il bambino o la bambina vive un attacco di panico, è utile stare accanto al bambino:

  • senza lasciarci prendere a nostra volta dall’agitazione e dalla nostra preoccupazione per i sintomi manifestati dal bambino, altrimenti il bambino potrebbe pensare ad esempio che «se anche la mamma è agitata, allora è sicuramente vero che mi accadrà qualcosa di catastrofico»;
  • accogliendo il disagio del bambino come reale e autentico e allo stesso tempo come normale e affrontabile, adottando un approccio pratico di problem solving «mi sembri agitato per questa situazione e può essere che questa agitazione ti faccia venire il mal di pancia; anche a me è capitata una cosa simile una volta…; proviamo a capire insieme come fare per far passare il tuo mal di pancia adesso»;
  • non negando o minimizzando il suo disagio con frasi del tipo «non hai niente, è solo un po’ di mal di pancia, stai tranquillo», altrimenti il bambino potrà sentirsi non compreso o sminuito e potrà sviluppare un sentimento di sfiducia nella possibilità di chiedere e ricevere un valido supporto, finendo con il sentirsi solo di fronte ai suoi stati angosciosi;
  • non cercando a tutti i costi in quel preciso momento di far capire al bambino che la sua ansia è irrealistica con frasi del tipo «non può accaderti niente se entri in classe, la tua è una paura non razionale». Questa tipologia di frasi, dette durante l’attacco di panico, non aiutano il bambino, poiché gli richiedono di utilizzare competenze di razionalizzazione che sono momentaneamente disattivate dallo stato di allerta che vive in quel momento. Si potrà aiutarlo a comprendere meglio la natura delle sue paure in un secondo momento, quando vivrà uno stato psico-fisico di minore attivazione;
  • non eccedendo in rassicurazioni sul fatto che gli eventi temuti non si verificheranno («andrà tutto bene») o sul fatto che con la mamma o il papà vicini nulla potrà accadergli («tranquillo, ci sono io»); ciò in quanto queste rassicurazioni inducono nel bambino un sentimento di insicurezza e di dipendenza dall’adulto per la gestione dei propri stati emotivi interiori portando il bambino a elaborare pensieri come «se il papà mi dice che non accadrà e poi accade, come faccio a fidarmi di lui la prossima volta?» oppure «se non c’è la mamma, non mi sento sicuro».

Per gestire un attacco di panico del bambino, è più utile assumere un atteggiamento fermo e allo stesso tempo empatico, utilizzando parole che riconoscono al bambino il suo disagio, invitandolo a rivolgere la sua attenzione al suo corpo, al suo respiro, alle sue sensazioni attraverso tecniche psico-corporee che lo aiutino a diminuire lo stato di attivazione e allerta psicofisica in cui si trova.

Possono essere un grande aiuto esercizi di respirazione svolti insieme, come ad esempio soffiare piano piano su una girandola o fare respiri ampi e lenti, invitando il bambino a porre attenzione al come ci si sente respirando così. È importante che questi piccoli esercizi non siano suggeriti in modo istruttivo con una modalità del tipo «fai così che ti aiuta», «se fai così starai meglio», ma siano proposti dal genitore al bambino con fiducia e come attività da fare insieme «per calmarsi un pochino». In questo modo, possiamo accompagnare il bambino a fare  esperienza di come egli stesso può gestire il proprio stato di ansia, aiutando la sua mente e il suo corpo a collaborare per ripristinare uno stato di maggiore calma.

Solo successivamente, quando il bambino è riuscito a calmarsi sarà possibile – in base all’età e alla fase della crescita – aprire con lui un dialogo sulla situazione da poco vissuta.

In questo dialogo, oltre a  evitare le trappole descritte in precedenza (enfatizzazione, minimizzazione, eccessiva razionalizzazione, eccessiva rassicurazione), è utile usare parole che aiutino il bambino a comprendere quanto è accaduto, descriverlo, valorizzare la sua capacità di gestirlo e allargare il campo emotivo anche ad altri vissuti ed emozioni che la stessa situazione può far vivere e sperimentare.

Ad esempio, con domande aperte quali «cosa ti è successo?», «come ti sei sentito?», «cosa ti ha aiutato a calmarti?», «pensi che questa strategia che hai usato possa esserti utile altre volte?».

Con queste forme di dialogo e attraverso il modellamento del loro comportamento,  gli adulti possono favorire le seguenti competenze emotive nei bambini :

  • riconoscere le proprie emozioni, il come ci si sente quando le si vive, il come si esprimono a livello verbale e non verbale. Una vera educazione delle proprie emozioni;
  • saperle descrivere e ricondurre alle situazioni che le hanno generate;
  • poter fare esperienza di saperle regolare nelle loro manifestazioni, anche le più intense.

Diagnosi e trattamento degli attacchi di panico dei bambini

È possibile fare una diagnosi di disturbo da attacco di panico? Una precisazione fondamentale s’impone a questo punto del nostro articolo. Le descrizioni che abbiamo fornito nei paragrafi precedenti sono da intendersi come indicatori utili ai genitori per orientarsi nel variegato mondo emotivo dei bambini e per scegliere di mettere in campo le risposte più adeguate in base alla situazione.

Esse non sono da usare come criteri per la diagnosi di disturbo da attacco di panico infantile.

La diagnosi è un processo specialistico di pertinenza del pediatra, del neuropsichiatra infantile e dello psicologo.

Per cui, nel caso in cui gli attacchi di panico dovessero ripetersi e aumentare di frequenza, diventare molto angosciosi e limitare il funzionamento del bambino o della bambina nei suoi principali contesti di vita, è utile parlarne con il pediatra e valutare insieme l’utilità di un approfondimento tramite invio a un neuropsichiatra, a uno psicologo-psicoterapeuta infantile.

In base all’età del bambino, alla situazione specifica e alle valutazioni effettuate, i professionisti potranno proporre differenti tipi di trattamento per i disturbi da attacco di panico nei bambini:

  • incontri individuali con il singolo bambino per lo sviluppo delle sue competenze emotive;
  • incontri con i genitori per aiutarli a comprendere gli stati affettivi del figlio, sostenere le competenze di regolazione emotiva del bambino e comunicare in modo empatico con lui, riflettere sulle proprie modalità di gestione dell’ansia e sulle influenze che possono avere nella situazione;
  • incontri con il nucleo familiare per sviluppare consapevolezza sul rapporto con l’ansia in famiglia, per elaborare ipotesi sulle sue origini e sui suoi meccanismi di mantenimento e per trovare strategie condivise per la sua espressione e regolazione.

Quando gli attacchi di panico si verificano nel contesto scolastico, è utile parlare con gli insegnanti per collaborare nella comprensione di ciò che il bambino o la bambina vive e nella ricerca di modalità utili per aiutarlo, anche al fine di ridurre i rischi che il disagio avvertito si trasformi nella difficoltà nell’andare a scuola o in assenze frequenti. Se c’è già in campo uno specialista, può essere utile che questo dialogo scuola-famiglia sia facilitato dalla sua figura, in modo che le sue competenze siano di supporto a quelle già messe in campo dagli insegnanti e dai genitori nella ricerca di soluzioni al problema.

Un ultimo spunto di riflessione per noi adulti. Di fronte a un bambino che manifesta una tendenza a vivere episodi di ansia ripetuti, un’altra forma di “trattamento” indiretto ma comunque efficace è interrogarsi su quali siano le modalità con cui noi stessi viviamo e gestiamo le nostre paure, preoccupazioni del quotidiano e ansie della vita e su come queste modalità possano influenzare in modo positivo o negativo la serenità dei bambini e lo sviluppo delle loro competenze emotive. La consapevolezza delle reciproche influenze tra le nostre emozioni, azioni e comunicazioni e quelle dei nostri figli è un aspetto cruciale per poter attivare cambiamenti utili a migliorare la gestione dell’ansia anche tra i più piccoli della famiglia.

Bibliografia
  • AA.VV. K-SADS-PL DMS-5. Intervista diagnostica per la valutazione dei disturbi psicopatologici in bambini e adolescenti, Trento, Centro Studi Erikson, 2018.
  • Paolo Moderato, Francesca Pergolizzi, Mindfulness per bimbi (e genitori). Consigli e attività per portare calma e consapevolezza nella tua famiglia, Milano, Mondadori, 2021.
  • Daniel J. Siegel, Tina Payne Bryson, Esserci. Come la presenza dei genitori influisce sullo sviluppo dei bambini, Milano, Raffaello Cortina, 2020.
  • Stefano Vicari, Maria Pontillo, L’ansia nei bambini e negli adolescenti. Riconoscerla e affrontarla, Bologna, Il Mulino, 2020.
Articolo pubblicato il 17/10/2024 e aggiornato il 22/10/2024
Immagine in apertura ilkercelik / iStock

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