Bonding: un legame per la vita

Indica quel legame profondo che si stabilisce a poche ore dal parto tra madre e figlio, e che permette alla donna di allattare, cullare, giocare con il proprio bambino, ma anche di proteggerlo, non trascurarlo, non abbandonarlo

Alessandro Volta , neonatologo
Bonding tra madre e neonato

Un termine che nasce negli Stati Uniti nel 1982 e sintetizza in modo straordinario quel processo indispensabile senza il quale l’uomo non sopravvive. Deriva dall’inglese bond, che significa attaccare, vincolare, incollare, cementare: stiamo parlando del bonding, parola che indica quel legame profondo, specifico e permanente che permette di allattare, cullare, giocare con il proprio bambino, ma anche di proteggerlo, di non trascurarlo, di non abbandonarlo.

Si dice che il bonding permetta di utilizzare istinti nascosti sfruttando un “periodo sensibile”, che favorisce la nascita di una grande capacità comunicativa, quella stessa capacità che consente alle madri di rispondere efficacemente alle necessità del proprio bambino.

Come tutti i processi umani, anche il bonding è un processo complesso e articolato, ricco di variabili, condizionato dall’ambiente, dalle caratteristiche personali, dal tipo di parto, dallo stato di salute della mamma o del bambino.

Come favorire il bonding?

Gli studi hanno dimostrato come esista la possibilità di influire su questo processo, sia favorendolo sia ostacolandolo. Il mezzo più semplice ed efficace per creare un legame stabile e positivo tra i genitori e il figlio è quello di mettere il neonato nelle braccia della mamma, in contatto pelle-pelle nelle due ore successive al parto, senza attuare nessuna separazione se il loro stato di salute lo permette.

È stato studiato che nei primi 60-90 minuti dopo la nascita, il neonato si trova nello stato di veglia tranquilla nel quale apre gli occhi, guarda i genitori, ascolta la loro voce e cerca da solo il seno della mamma. In questa fase il bambino è molto attento e percepisce ciò che lo circonda: in questo momento avviene il suo primo, importantissimo contatto col mondo. Bisognerebbe evitare che queste prime percezioni avvengano attraverso persone estranee, in luoghi diversi dal corpo della mamma, dalla sua voce e dal suo odore.

Dopo circa due ore dal parto il neonato passa in uno stadio di sonnolenza o di vero e proprio sonno, recupera le forze e le sue capacità percettive si riducono fin quasi ad annullarsi. Questo è il momento per portarlo al nido e sottoporlo alle routine assistenziali senza temere di disturbarlo: il bonding è iniziato e nulla può fermarlo.

L’importanza delle prime ore

Le ricerche sul comportamento del neonato hanno stabilito la grande importanza delle sue prime ore di vita che vanno quindi utilizzati nel modo migliore. Ricordiamoci che per il papà il “suo parto” avviene quando può finalmente avere il figlio in braccio, vederlo negli occhi e convincersi di essere a sua volta visto e riconosciuto. Subito dopo il parto deve uscire la placenta e a volte occorre dare qualche punto di sutura alla mamma, tutti sono ancora indaffarati, soltanto il neonato e il papà sono liberi da impegni: perché non sfruttare la situazione per fare conoscenza?

È stato dimostrato che l’unica necessità dei neonati sani nei primi minuti è di essere asciugati e avvolti in un telino tiepido, ogni altra routine oltre a non essere utile è di ostacolo al bonding e pertanto dovrebbe essere rimandata. Inoltre, gli studi hanno evidenziato come rispettando l’intimità dei genitori e del bambino, quest’ultimo smette di piangere a pochi secondi dalla nascita e si tranquillizza con grande velocità, viceversa i neonati separati dalla mamma subito dopo il parto piangono più a lungo e si calmano con difficoltà.

Cosa fare quando non è possibile un contatto precoce?

Nelle situazioni in cui il neonato deve essere separato dalla mamma e mantenuto in incubatrice o sotto monitoraggio, il bonding deve essere rimandato. In questi casi è molto importante che i genitori possano poter vedere il loro bambino e appena possibile abbiano la possibilità di toccarlo e accarezzarlo; un momento di intimità è possibile anche in presenza di strumentazioni sanitarie, ma in questi casi saranno molto utili spiegazioni e rassicurazioni da parte di operatori sensibili e attenti.

Un recente studio condotto sui neonati pretermine ricoverati in terapia intensiva ha dimostrato come le interazioni sensoriali tra la mamma e il bambino producano effettivi importanti: non soltanto migliorando le condizioni emotive di entrambi aiutandoli a superare lo stress della separazione, ma influendo in modo positivo sul loro sviluppo cognitivo e comportamentale. Anche quando il neonato è in una incubatrice è possibile interagire con lui, prima attraverso un contatto olfattivo (usando delle stoffe con l’odore della mamma), utilizzando la voce, gli sguardi, le carezze; poi, quando sarà possibile prenderlo in braccio, attraverso un’assistenza con il metodo canguro.

Le magie del periodo sensibile

Sono molti gli studi che hanno confermano i vantaggi del “periodo sensibile”. Nelle due ore successive al parto sono infatti presenti una serie di ormoni che svolgono un ruolo specifico nella interazione madre-neonato:

  • ossitocina: raggiunge le più alte concentrazioni nel sangue materno dopo mezz’ora dal parto, stimolando comportamenti di accudimento; è dimostrata una correlazione tra i livelli di ossitocina e la capacità di empatia e di un migliore rapporto con sé e con gli altri
  • endorfine: raggiungono un livello molto alto nelle prime due ore dopo il parto. Si tratta di oppiacei naturali, determinano capacità percettive e ricettive, sensazioni di piacere e gratificazione
  • adrenalina materna: un picco di rilascio di ormoni adrenalinici nelle ultime contrazioni rende la madre energica, attenta, l’adrenalina materna accresce quella fetale: anche il bimbo è all’erta alla nascita
  • adrenalina fetale: mette il neonato in grado di adattarsi al mondo extrauterino e di promuovere il processo dell’attaccamento
  • prolattina: raggiunge il picco massimo a due ore dal parto, agisce sui comportamenti materni di “nidificazione” e accudimento.
Alessandro Volta

pediatra neonatologo, è direttore del programma materno infantile dell’ASL di Reggio Emilia e formatore per il personale sanitario sull’allattamento al seno e il sostegno alla genitorialità. È autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche e dei libri Apgar12, Nascere genitori, Mi è nato un papà, Crescere un figlio e L’allattamento spiegato ai papà.

Articolo pubblicato il 30/09/2016 e aggiornato il 22/09/2022

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