Rosa per le femmine e blu per i maschi? Intervista a Matteo Bussola

Nell’ultimo romanzo di un autore molto amato, una bambina di 8 anni e il suo papà riflettono su stereotipi di genere e parità

Immagine per l'autore: Anna Rita Longo
Anna Rita Longo , divulgatrice scientifica
Due bambini seduti al tavolo che giocano con i colori a tempera

Viola è una bambina di 8 anni che ama il colore blu. Un colore da maschi, secondo alcuni, e Viola non comprende proprio il motivo di queste differenze, che limitano le possibilità di scelta sia delle bambine sia dei bambini. Per esempio, così come la società vorrebbe imporre a lei di preferire il colore rosa – ma le cose non sono sempre andate in questo modo, e Viola avrà modo di scoprirlo – a un suo amichetto vorrebbe impedire di leggere l’albo a fumetti di Dora l’esploratrice, perché sarebbe “da femmine”.

Ogni tanto Viola ha paura di non essere come gli altri vorrebbero che fosse, e di deludere le loro aspettative facendo ciò che più le piace. Per fortuna ha accanto genitori che sanno starle vicino e spiegarle che non c’è nulla di sbagliato nelle sue attitudini e preferenze, ma la società a volte prova a plasmare le persone secondo una serie di stereotipi che finiscono per rinchiuderle in scatole anguste, che non permettono loro di esprimersi.

Viola è la protagonista di Viola e il Blu (Salani Editore), l’ultimo romanzo di Matteo Bussola, fumettista e scrittore, che affronta temi come la parità e gli stereotipi di genere e il loro impatto sulla vita di bambine e bambini, rivolgendosi ai piccoli lettori, ma anche ai loro educatori e genitori. L’autore ha condiviso con noi alcune riflessioni su questi temi così importanti, su cui si interroga quotidianamente anche nel proprio ruolo di genitore.

L’esperienza della paternità

«Essere padre – ci ha detto – è stato determinante per la scrittura di questo libro, come pure per altri dei libri che ho scritto. In particolar modo, essere padre di tre figlie ha cambiato il mio sguardo sul mondo, permettendomi di accedere a un’altra visione del femminile, e mi ha consentito di riflettere sul modo in cui si forma lo sguardo delle mie figlie sul mondo, su come si rapportano alla realtà e ne subiscono gli stereotipi».

Il colore come punto di partenza

Le conversazioni dell’autore con le figlie hanno, quindi, fornito alcuni spunti per il romanzo. Tra questi, rientra il simbolismo legato al colore: «I colori preferiti dalle mie tre figlie sono il viola, il rosso e l’azzurro, non a caso quelli da cui si sviluppano alcune delle considerazioni che caratterizzano le riflessioni che Viola fa con il suo papà. Da disegnatore di fumetti e da architetto, ho la naturale tendenza a scrivere di ciò che vedo, a cercare, con la scrittura, di avvicinarmi alla realtà che percepisco.

In questo senso, il simbolismo relativo ai colori offre un aggancio immediato e chiaro, che può essere colto anche da un bambino». D’altra parte, c’è anche un altro motivo per partire dal reale: «Ho scelto di portare nel libro elementi di verità anche perché ritengo che sia l’unico modo per instaurare una buona comunicazione con bambine e bambini, che sono sensibilissimi al vero, infatti capiscono subito quando un adulto dice loro una bugia».

Mettersi in discussione

Per esempio, approfondire il discorso sui colori, come fa Viola con il padre che fa il pittore, consente di rivedere quelle che sembrano certezze granitiche, ma sono, in realtà, sovrastrutture fragili e recenti. Continua Matteo Bussola: «Parlando con il padre, Viola scopre, per esempio, che un’usanza che saremmo portati a considerare antichissima, come l’associazione del rosa al femminile e del blu al maschile, è in realtà un’innovazione recente, che ha cominciato a diffondersi intorno agli anni Quaranta del secolo scorso.

Come testimoniano gli studi storici e antropologici (si può, per esempio approfondire il discorso con il bel saggio Cromorama di Riccardo Falcinelli), per secoli il rosa è stato, invece, ritenuto un colore più adatto al sesso maschile, mentre le sfumature di azzurro e blu più confacenti a quello femminile. Il tempo ha contribuito a cambiare le idee associate a questi colori, con stereotipi opposti. È la prova che tutto è soggetto a cambiamenti e che tutti gli aspetti della cultura sono sottoposti a un’evoluzione continua.

Molte delle cose che diamo per scontate non sono altro che sovrastrutture di cui è possibile liberarsi quando comprendiamo che non rispondono più al nostro modo di vedere le cose e di rappresentarci. Questo dovrebbe indurci a essere meno intransigenti e più disponibili ad accogliere questi cambiamenti».

Stereotipi nei libri di testo e nella vita quotidiana

Nel libro di Matteo Bussola si fa cenno agli stereotipi di genere presenti anche nei libri di testo, che Viola nota con disappunto e la cui influenza negativa è stata messa in luce da numerosi studi (in Italia, per esempio, da quelli pionieristici di Elena Gianini Belotti [1] fino a quelli di Irene Biemmi e Silvia Leonelli [2] ). Anche in questo caso lo spunto è tratto dalla quotidianità: «Mi è in effetti capitato, purtroppo, di notare nel libro di testo di una delle mie figlie delle rappresentazioni stereotipate della figura materna e paterna e fa riflettere il fatto che ciò non avvenga in testi datati, ma in quelli che sono ancor oggi in uso nelle scuole e in edizioni recenti.

È un’ulteriore prova del fatto che il percorso verso la parità è ancora molto lungo», aggiunge Bussola, che sottolinea: «Molte idee stereotipate, per esempio quelle che associano alcuni compiti esclusivamente al padre o alla madre, emergono in tutta la loro forza appena si gratta via la patina dorata dalla superficie, perché sono ancora profondamente radicate. Ed emergono anche, a dispetto delle buone intenzioni, in quelle famiglie che si ritengono perfettamente paritarie, perché la cultura nella quale si è immersi costituisce un humus che produce frutti non appena la guardia si abbassa e quando ci si sente al sicuro. Ed è in questi casi che è bene ricordarsi dell’importanza di pronunciare più spesso parole come “grazie” e “scusa”, che contribuiscono a migliorare tutte le relazioni umane».

Educare è anche imparare

In un passo molto bello e molto intenso è Viola che, a un certo punto, fa notare al padre un suo errore, facendogli capire che neppure lui è del tutto immune dagli stereotipi che gli fanno dare per scontato ciò che la compagna fa per la famiglia. «Si tratta del mio passo preferito – sottolinea l’autore – proprio perché ha al centro il concetto che l’atto di educare si fonda sulla reciprocità: i genitori tendono a pensare che siano solo i figli a dover imparare, ma spesso sono i figli a trasmettere insegnamenti importantissimi, attraverso il loro sguardo penetrante che è in grado di cogliere elementi che agli adulti sfuggono».

Liberi di essere sé stessi

E così come si fonda su un insegnamento-apprendimento reciproco, l’educazione è anche ricerca di libertà, come Viola gradualmente comprende. Afferma Bussola: «Mi piacerebbe far passare il messaggio che nessuno viene al mondo per compiacere gli altri e per conformarsi alle aspettative altrui. Il compito delle bambine e dei bambini è semplicemente quello di crescere restando fedeli a sé stessi. Con un’espressione solo apparentemente paradossale, potremmo, anzi, dire che è naturale e giusto che tradiscano le aspettative dei genitori e, nel farlo, manifestino il proprio reale modo di essere, la propria personalità, senza permettere agli altri di rinchiuderli in gabbie o caselle. Così facendo, ciascuno di loro sarà libero di manifestare la propria unicità».

Un circolo virtuoso

Senza dimenticare il fatto che all’interno di ciascuna famiglia si possono promuovere comportamenti virtuosi che possono offrire un esempio positivo per altre famiglie. Sottolinea Bussola: «Spesso, per evitare di abbandonare idee o modelli culturali ai quali siamo abituati, cerchiamo facili alibi, che portano a perpetuare comportamenti discriminatori.

Pensiamo all’impegno per i diritti delle famiglie arcobaleno, che spesso viene liquidato con affermazioni che fanno riferimento alle discriminazioni che i figli cresciuti in queste famiglie potrebbero subire da parte di una società arretrata. Si tratta di un discorso assurdo e deresponsabilizzante, che andrebbe, semmai, rovesciato: ciascuno di noi dovrebbe partire dal non discriminare nessuna famiglia e nessun individuo, spingendo, così, anche gli altri verso comportamenti virtuosi e inclusivi. Ogni esempio positivo contribuisce a creare una nuova cultura, in cui tutte le persone e tutte le famiglie siano libere di realizzare il proprio progetto di vita».

Perché il cammino verso la parità ha bisogno dell’impegno di tutti, per consentire a tutte le persone di dipingere la realtà con i propri colori, così come Viola con il blu che tanto le piace.

Immagine per l'autore: Anna Rita Longo
Anna Rita Longo

Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.

Note
[1] Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano, 2013
[2] Irene Biemmi, Silvia Leonelli, Gabbie di genere. Retaggi sessisti e scelte formative, Rosenberg & Sellier, Torino, 2016
Bibliografia
Articolo pubblicato il 20/05/2021 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura wundervisuals / iStock

Condividi l'articolo