Educare all’attesa

Imparare ad aspettare vuol dire saper apprezzare il valore delle cose, avere capacità di autocontrollo, riconoscere i bisogni altrui; consente al bambino di riflettere, di scegliere e di valutare ciò che sta accadendo

Immagine per l'autore: Annalisa Perino
Annalisa Perino , pedagogista montessoriana
Bambini giocano assieme con pupazzi animali

Attendere il proprio turno per coccolare la bambola; desiderare un paio di scarpe che arriveranno a Natale, e siamo solo a giugno; rispettare il turno aspettando che l’altro finisca di parlare prima di ricevere ascolto.

È possibile educare in tal senso i bambini di oggi, abituati ad avere ancor prima di desiderare?
«Non gettare le scarpe! Appoggiale, altrimenti si sciupano».
«Tanto poi le compro nuove…».

I bambini possono ancora affezionarsi alle loro scarpe per la funzione che svolgono e non perché sono luminose? Ne avessero un solo paio sarebbe più semplice.

L’importanza di predisporre l’ambiente

Maria Montessori, all’inizio del secolo scorso, scriveva pagine meravigliose a proposito dell’educazione al senso di comunità, al valore dell’attesa, della pazienza, e predisponeva l’ambiente a educare in questa direzione.

Entrando in una stanza di una scuola Montessori si può vedere l’angolo per la pittura con un solo pennello, una torre rosa, una sola bambola, un vassoio del ritaglio e così via. Perché il materiale in unica copia nelle stanze di scuola? Per favorire il lavoro individuale, e quindi la concentrazione e l’apprendimento individualizzato, e per sperimentare e vivere l’attesa, la pazienza, la calma, il rispetto e la responsabilità senza che nessun adulto debba insegnarlo.

Accedendo all’attività il bambino sa di poter svolgere con calma e tranquillità il proprio lavoro, determinando autonomamente i tempi d’esecuzione. Se un altro bambino trovasse “occupata” l’attività di suo interesse dovrà attendere, necessariamente, che essa si “liberi”. Ognuno impara ad attendere. Inizialmente la maestra sosterrà l’immaturità del bambino nel gestire la frustrazione o il desiderio di avere subito ciò che desidera. Questa modalità di gestire le attività non preclude il lavoro condiviso e la collaborazione: quando essa nasce spontanea i bambini possono “fare insieme”.

La collaborazione viene concessa e favorita, ma non imposta. Oggi vediamo laboratori, scuole o case in cui per tre bambini ci sono tre forbici, per quattro bambine quattro bambole. Ma adulti ed educatori pretendono che i bambini siano pazienti, rispettosi, calmi. Com’è possibile? Il bambino vive in un ambiente dove tutto è immediatamente e sempre accessibile, ma allo stesso tempo deve saper attendere. È difficilissimo! Il momento dell’attesa è un’occasione per la riflessione, e riflettere consente di scegliere meglio e di prepararsi. Il bambino che conquista ciò che ha desiderato con pazienza, dedizione e impegno non potrà che incrementare la fiducia in sé stesso e la propria autostima.

L’attesa come occasione di riflessione

La protesta del bambino spesso impaurisce il genitore facendolo sentire severo, ingiusto o “cattivo”. «Voglio vedere un cartone!», «Voglio mangiare!», «Voglio uscire!», «Voglio andare!» e rispondere: «Un attimo, fra poco si potrà», non è un reato, ma un atto educativo che comporta impegno, fatica e capacità nel gestire la frustrazione che il bambino può manifestare.

Il bambino impara a coordinarsi camminando, impara a ritagliare ritagliando, impara ad autoalimentarsi autoalimentandosi, impara a socializzare quando si trova con altri bambini e può imparare ad attendere attendendo.

Educare all’attesa significa educare all’autocontrollo, al rispetto degli altri, alla comprensione dei bisogni altrui. Adattiamo l’ambiente perché questo possa educare all’attesa, aiutiamo i bambini a gestire la frustrazione di non poter aver tutto e subito, tramite l’accoglienza, l’ascolto e l’esempio.

Il tempo dell’attesa non è un tempo perso o l’espressione di una cattiva organizzazione familiare, ma possiamo vederlo come una preziosa scelta educativa messa in campo consapevolmente da mamma e papà.

I bambini osservano molto gli adulti, sono attratti e affascinati dalle loro competenze e abilità. Proprio per questo il genitore, come la maestra, hanno la responsabilità di curare il “modello” che offrono ai bambini. Ciò che fanno è ciò che il bambino recepirà come insegnamento. Soprattutto nei primi anni di vita, si dovrebbe cercare, in presenza dei bambini, d’essere attenti a ogni sfumatura del linguaggio, dei movimenti, dell’atteggiamento verso gli altri, verso le cose, verso gli animali, perché la mente dei bambini assorbe qualsiasi cosa e si forma attraverso le esperienze. Maria Montessori immaginava un adulto paziente e umile, ovvero capace di una presenza non invasiva nell’attività del bambino e in grado di osservare, servire, accorrere, ritirarsi, parlare o tacere, secondo i casi e i bisogni.

Qualche consiglio su come comportarsi

La televisione

Potremmo dare occasione ai bambini, se desiderosi di guardare la TV, di farlo in poche occasioni, brevi, saltuarie. Si può scegliere alcuni momenti della settimana, facendosi aiutare da un calendario autocostruito dove la TV rientra in alcuni momenti specifici prefissati che possano dettare le tempistiche al bambino. Ciò aiuta il bambino nell’orientamento spaziale, nell’autoregolazione e nell’obiettività delle regole. Il televisore, insomma, si può accendere, ma si può anche spegnere.

La cameretta

Possiamo scegliere pochi oggetti, belli, curati, interessanti e ordinati che consentano al bambino di vivere un ambiente stimolante ma non soffocante, iperstimolante e caotico. I bambini possono vivere in una camera con pochi giochi, costruendosi così spazi per la creatività, l’approfondimento e la ricerca, avendo chiaro ciò che hanno a loro disposizione.

Quando due adulti stanno parlando possono richiedere a un bambino che vuole parlare di attendere il proprio turno per poi, una volta data la parola, dedicargli tutta l’attenzione che merita. Ciò lo farà sentire importante, così come, del resto, lo sono anche i suoi genitori.

I fratelli

Una sola bicicletta, una palla, una sola bambola. Non è obbligatorio possedere tutto doppio o triplo perché si è genitori di due o tre figli. A volte per motivi economici è inevitabile, ma lo può essere anche per motivi educativi. Per educare alla condivisione, alla relazione, all’attesa, bisogna trovare delle occasioni per sperimentarsi verso questa direzione.

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Annalisa Perino

formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.

Articolo pubblicato il 10/11/2020 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura FatCamera / iStock

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