Il gioco con la sabbia: educazione per il corpo e per la mente

A Berlino esiste un atelier in cui i bambini possono giocare con la sabbia e con tanti oggetti di uso quotidiano, affinando in autonomia le proprie competenze motorie, sensoriali e sociali

Immagine per l'autore: Francesca Perica
Francesca Perica , educatrice montessoriana
Mano di un bambino che gioca con la sabbia

All’inizio, le mani si avvicinano timidamente alle grandi ceste sul pavimento. Ma, non appena le dita toccano la sabbia fine, il tempo sembra fermarsi e rimane soltanto la percezione del contatto piacevole con il materiale. I granelli scivolano sulle mani e il corpo comincia a muoversi, prima lento poi veloce, entrando in relazione con gli oggetti e in una continua ricerca di equilibrio.

La sabbia cade per terra, si sparge, ma non è un problema: le occasioni di scoperta si ampliano, i piedi nudi vi affondano con gioia. Tazze e contenitori vengono colmati fino a traboccare e l’aria si riempie dei suoni prodotti dai cucchiai e dai macinacaffè all’opera.

L’atelier della sabbia

Nello Strandgut (termine tedesco traducibile con “doni portati dal mare”, ad esempio dopo una mareggiata) di Ute Strub, a Berlino, questa esperienza di scoperta e intensa concentrazione ha luogo quotidianamente.

Ute Strub è una fisioterapista specializzata nel lavoro con malati cronici, che negli anni Settanta è rimasta affascinata dal lavoro di Emmi Pikler e ha cominciato a immaginare nuovi itinerari pedagogici improntati al rispetto della persona.

Vede così la luce l’innovativo progetto del suo atelier permanente, rivolto inizialmente a un pubblico adulto ma che, nel tempo, ha cominciato a essere frequentato sempre più spesso da bambini e ragazzi tra i 6 mesi e i 14 anni.

L’atelier è composto di due stanze, la “stanza della sabbia” e la “stanza della paglia”, pensate per favorire rispettivamente l’esercizio della motricità fine e di quella grosso-motoria.

Con la sabbia, intuisce Ute Strub, i bambini hanno modo di vedere, pensare e sentire attraverso le mani. Già Maria Montessori affermava che la conoscenza, per il bambino, nasce innanzitutto attraverso il “fare”: la mano, organo dell’intelligenza, fa da tramite tra l’io e il mondo, e la libertà di movimento consente non solo di conoscere la realtà, ma garantisce anche lo sviluppo armonioso di mente e corpo.

Il valore educativo degli oggetti 

Nello spazio dell’atelier sono disposti alcuni contenitori (ceste in vimini o in altro materiale naturale rivestite di stoffa, scatole, cassetti…) colmi di sabbia fine e asciutta, collocati su tavoli bassi o direttamente sul pavimento, e una ricca collezione di oggetti, sistemati su mensole, sgabelli o appesi alle pareti.

La scelta degli elementi presenti nella stanza è frutto di attenta riflessione e di estrema cura per i dettagli, in modo che i bambini siano il più possibile invogliati a utilizzarli. Tra essi notiamo oggetti che difficilmente includeremmo nella categoria “giocattolo”: utensili da cucina, tritacarne, macinacaffé, grattugie, mortai, svariati tipi di contenitori, conchiglie, portauova…

Si tratta di oggetti con una storia, materiali reali e naturali, perché il bambino deve poter fare esperienza di diverse impressioni sensoriali (cosa che i comuni giocattoli di plastica non consentono).

La varietà è estremamente importante: durante il gioco i bambini hanno modo di osservare e manipolare oggetti assai differenti tra loro. Travasando la sabbia da un contenitore a un altro possono indagare indirettamente il concetto di volume; versandola prima in una ciotola in legno e poi in una di metallo possono studiare come si comporta la sabbia in relazione ai differenti materiali; utilizzando i vari utensili osservano come i granelli passino più facilmente tra i fori di un colapasta che tra quelli di un colino per il tè.

Si tratta di sequenze di ricerca e di apprendimento naturali, dirette, esperienziali, dal valore inestimabile.

Numerose sono anche le occasioni per i bambini di calarsi nel gioco del “facciamo finta che…”: gli oggetti a disposizione sono infatti gli stessi presenti nelle loro case ma che, molto spesso, non viene loro concesso di usare. Ecco quindi che si creano interessanti dinamiche di gioco in piccoli gruppi, con bambini intenti a preparare una minestra o un tè di sabbia.

Bambini liberi e concentrati

Osservare i bambini mentre giocano con la sabbia evoca l’attività meditativa dei monaci nei karesansui, i famosi giardini giapponesi zen: il loro è un lavoro sereno, introspettivo, ricco di sfumature e durante il quale si mantiene la massima concentrazione.

Anche la libertà d’azione è tutelata. Nello Strandgut esistono due sole regole: la sabbia rimane nella stanza della sabbia, la paglia in quella della paglia; è necessario rispettare gli oggetti e il lavoro degli altri.

I bambini hanno così la possibilità di agire in un ambiente che protegge, orienta, ma non costringe. La loro attività non è infatti guidata verso il conseguimento di obiettivi pedagogici definiti: lo scopo primario dell’esperienza è la pura e semplice immersione nel gioco fine a sé stesso.

Qual è il ruolo dell’adulto? Risulta molto simile a quello proposto da Maria Montessori: un regista discreto, che con sguardo sapiente e capacità riflessiva pensa, organizza e osserva, misurando il proprio intervento in base all’attività del bambino e limitandolo allo stretto necessario, lasciando al piccolo il ruolo da protagonista.

L’importanza delle attività “semplici”

Esplorazione sensoriale, esercizio della motricità fine, scoperta di principi matematici e fisici, canalizzazione emotiva, rielaborazione delle esperienze, sviluppo della creatività e del pensiero divergente… Il lavoro con la sabbia garantisce tantissimi benefici e mostra come, contrariamente a quanto spesso si pensa, siano le attività più semplici a offrire le occasioni più complete di crescita.

L’esperienza dello Strandgut, facilmente replicabile sia a casa sia a scuola, ci ricorda la necessità di rimanere, come adulti, in secondo piano, rispettando i tempi lenti del bambino e riponendo fiducia nel suo innato e potente desiderio di scoprire e apprendere. In questo modo il piccolo potrà lasciarsi guidare dai propri interessi e seguire il suo personale “disegno interiore” di crescita, in libertà e autonomia.

Immagine per l'autore: Francesca Perica
Francesca Perica

Dopo la laurea in Scienze dell’educazione si specializza nel Metodo Montessori per la prima infanzia presso l’Opera Nazionale Montessori e successivamente con il Centro Nascita Montessori. Nel 2016 fonda “Aiutami a fare da me”, sito che ha lo scopo di divulgare il pensiero di Maria Montessori, e nel 2019 si trasferisce in Germania continuando il suo lavoro di educatrice presso un asilo nido di ispirazione Reggio Children. Collabora con numerose riviste specializzate e sostiene i genitori con percorsi individuali di parent coaching.

Bibliografia
  • Cristina Cardo, Berta Vila, Silvia Vega, Giochi e esperimenti al nido. Attività di manipolazione, esplorazione e scoperta, Erickson, Trento, 2016
  • Maria Montessori, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano, 1999
Articolo pubblicato il 11/12/2020 e aggiornato il 29/05/2023
Immagine in apertura BravissimoS / iStock

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