Esercitarsi all’autonomia

Le uniche azioni da proibire a un bambino sono quelle che possono arrecare un danno a lui stesso, agli altri e all’ambiente, ed è all’interno di questo confine che il piccolo impara a regolare il proprio comportamento, e a diventare progressivamente sempre più autonomo e responsabile

Immagine per l'autore: Annalisa Perino
Annalisa Perino , pedagogista montessoriana
Bambina lava i piatti in autonomia

La parola “autonomia” deriva dal greco ed è composta da due parti: au tos, “egli stesso”, e nòmos, “legge”; insieme ad “autodisciplina” è una delle parole fondamentali del metodo Montessori. Un bambino che ubbidisce alle regole che gli vengono date, infatti, non risponde solo a un volere esterno in modo acritico, ma si sa adattare agli altri perché è consapevole del proprio volere e delle proprie inclinazioni, ed è esperto nell’autocontrollo.

Come si fa a educare in tale direzione? Maria Montessori insegnava ai bambini l’attesa mettendo a loro disposizione un solo paio di forbici (non un paio per ciascun bambino), educava alla responsabilità concedendo il materiale a un bambino che lo prendeva in carico, lo usava e ne gestiva il riordino e la pulizia (nel lavoro di gruppo, invece, i bambini gestiscono insieme anche la divisione della responsabilità).

Un bambino diventa responsabile con gradualità, se abbiamo fiducia in lui e rispettiamo la sua intelligenza; occorre però stabilire con chiarezza cosa è “sì” e cosa è “no”.

Regole e responsabilità

Cosa è lecito e cosa no? Su che basi si costruisce l’autodisciplina e, ancor prima, l’autonomia e la responsabilità? Maria Montessori lo dice in modo semplice e chiaro: vanno inibite tutte le azioni in grado di arrecare un danno al bambino stesso, agli altri e all’ambiente, e queste sono le sole regole entro cui il bambino dovrebbe imparare a muoversi. In questi confini saranno la sua personalità, i suoi bisogni, i suoi gusti – e quindi le sue esperienze – a guidarlo. L’ordine delle regole favorisce l’autonomia e, di conseguenza, la responsabilità. In latino questa parola, respònsus, significa rispondere; i bambini possono rispondere delle loro scelte e delle loro azioni vivendo le conseguenze di ciò che fanno. Naturalmente il genitore dovrebbe consentire al bambino di vivere un livello di responsabilità consono alla sua età e al suo grado di sviluppo: non possono essere affidate a un bambino delle responsabilità “da adulto” che spettano invece al genitore.

Conseguenza e ricatti

A volte succede che i genitori confondano le conseguenze con le punizioni: «Se lanci il cibo non vai ai giardini»; «Se lanci il cibo ti alzi da tavola». La prima affermazione è un ricatto (il bambino non lancerà il cibo perché desidera andare ai giardini); la seconda affermazione si riferisce invece a una conseguenza: «Se scegli di lanciare il cibo, scegli di non rispettare un’importante regola del pasto è quindi ti dovrai allontanare dalla tavola».

Naturalmente è una frase che risulta comprensibile solo a un bambino che ha più di 30 mesi, difficilmente prima, quando il gesto di lanciare può essere inibito solo attraverso un gentile e fermo «no».

Vivere le conseguenze delle proprie azioni – e non il ricatto e la punizione – permette al bambino di riflettere sul proprio agire, ragionare sul comportamento adottato e sulla scelta fatta. L’impulsività lascia così gradualmente spazio alla riflessività e di conseguenza alla competenza, all’autocontrollo e alla disciplina.

Diversi livelli di autonomia e responsabilità

All’inizio della vita la responsabilità è in mano al genitore, poi passa lentamente e gradualmente nelle mani del bambino, a piccoli passi. Così, in una famiglia con più figli di età differente, si potranno avere regole differenti, livelli di autonomia e di responsabilità individuali a seconda delle competenze acquisite. Facciamo degli esempi legati a situazioni concrete del vivere quotidiano:

  1. Paolo, 17 mesi, non può prendere la scatola delle perline e viene aiutato nel riordino dei materiali da un adulto. Entra al nido accompagnato da un genitore che lo assiste durante il cambio: mamma gli slaccia la giacca, Paolo la sfila e la appende, entra in classe quando scarpe e giacca sono al loro posto.
  2. Francesca, 5 anni, può lavorare con le perline da sola su un tavolo alto e ogni volta che cade una perlina la raccoglie immediatamente. Un adulto, senza farsi notare troppo, monitora la situazione. Al termine dell’attività, Francesca riordina in autonomia. A scuola, un genitore l’accompagna fino al cancello; Francesca, da sola, si sveste, indossa il grembiule ed entra in aula.
  3. Rita, 8 anni, può lavorare a terra con le perline anche in presenza di Paolo, facendo attenzione che il fratello non si avvicini al barattolo ed estraendo solo le perline che le servono e che può gestire. Offre a Paolo un materiale adatto alla sua età affinché non sia tentato dal “materiale proibito”. Al mattino esce di casa e va a scuola a piedi, conosce i pericoli della strada: più volte è stata accompagnata a piedi e con i genitori ha stabilito sia l’itinerario sia le buone prassi da mettere in pratica. Rita conosce tutti i commercianti del quartiere e spesso fa la strada insieme a Luca, un compagno di classe che abita poco distante.

Gestire la frustrazione

Continuiamo con gli esempi. Il giovedì è il giorno in cui i bambini portano a scuola un proprio libro per poterne prendere in prestito un altro da tenere a casa per una settimana. Un bambino di 4 anni può essere autonomo e responsabile di un’attività di questo livello di complessità; se un giovedì non dovesse ricordarsi, vivrà la conseguenza di tale mancanza: non tornerà a casa con un nuovo libro. È una conseguenza tollerabile per un bambino di 4 anni, che forse si arrabbierà e piangerà ma, adeguatamente supportato, potrà gestire la frustrazione e farne tesoro. Il genitore potrà allora proporgli la realizzazione di un calendario o un promemoria per potersi ricordare più facilmente dell’appuntamento. 

Un bambino può…

  • A 2 anni asciugare il pavimento se lo bagna
  • A 3 anni apparecchiare la tavola (le stoviglie sono già contate e in un posto raggiungibile)
  • A 4 anni riordinare nei cassetti le calze e le mutande di tutta la famiglia
  • A 5 anni ricordarsi gli appuntamenti della settimana e organizzare le cose da prendere (per la piscina, la biblioteca, l’attività fisica…)

L’adulto può…

  • Costruire un ambiente facilitante: promemoria, calendari, occasioni di partecipazione alla vita familiare e di esercizio della manualità
  • Aiutare il bambino a leggere il suo comportamento per comprenderlo meglio, elaborando vissuti, successi e sbagli
  • Essere un modello chiedendo scusa quando sbaglia, riprovando se non riesce, e incoraggiando sé stesso a far meglio 
Immagine per l'autore: Annalisa Perino
Annalisa Perino

formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.

Articolo pubblicato il 24/11/2020 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura scaliger / iStock

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