«Fila in camera tua!» l’Europa si schiera contro la punizione

Dopo le richieste di alcune associazioni che mirano a combattere la violenza educativa ordinaria, il Consiglio d’Europa ha rivisto la sua posizione sul Time out, ossia il nostro “Basta, fila in camera tua!”

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Elena Ravazzolo , pedagogista
bambino in punizione in camera sua

Da qualche giorno si discute ampiamente sulla notizia, data dal quotidiano francese Le Figaro, secondo cui il Consiglio d’Europa avrebbe vietato il time out cioè il «Basta, fila in camera tua»

Nel 2008 il Consiglio d’Europa ha pubblicato delle indicazioni (ora aggiornate)  sui comportamenti da adottare di fronte ad atteggiamenti non proprio educati dei propri figli. Recentemente alcune associazioni, tra le quali Stop VEO, che agisce per combattere la violenza educativa ordinaria, hanno richiesto a quest’organo europeo di rivedere la sua posizione sul tema del time out, modificando l’opuscolo che invece ne incoraggiava l’uso.

Oggi, tra i suggerimenti per un’educazione non violenta, si può leggere: «Bisogna reagire al comportamento scorretto con spiegazioni e in modo non aggressivo, evitando castighi come il time out».

Naturalmente si è acceso il dibattito tra chi sostiene questa posizione e chi invece la trova scorretta o esagerata.

Il time out è davvero indispensabile?

Nelle varie trasmissioni radiofoniche non è mancata l’ironia, con le tipiche osservazioni del genere «ma dove siamo arrivati» o «se non possiamo neanche più mandarli a riflettere in camera loro, come facciamo a educare ‘sti ragazzi?», e ancora: «quando la combinano grossa, bastano davvero delle parole gentili?».

In effetti hanno ragione. Pensando all’idea di educazione che ha la maggior parte delle persone, non è possibile eliminare le punizioni e sostituirle soltanto con parole gentili.

In un articolo del 2019 (che potete leggere qui) sostenevo che per educare non servono le punizioni, ma è necessario cambiare metodo educativo.

Se infatti il metodo in uso prevede premi e punizioni risulta abbastanza evidente che togliendo le punizioni il metodo non sta più in piedi.

Ma chiediamoci: cosa sono le punizioni, se non la reazione di un adulto che non sa più che pesci prendere? Come si arriva al momento in cui il «Basta, vai in camera tua» sembra l’unica soluzione? È possibile che ci sia un modo per non arrivarci affatto?

Io credo di sì, la strada per non arrivare alle punizioni esiste, ma necessita di un cambio di impostazione a livello educativo da parte degli adulti. È indispensabile un cambio di paradigma educativo.

Il fulcro del sistema educativo senza punizioni ruota intorno al significato della parola “rispetto” e ha bisogno di preparazione, pianificazione e organizzazione

Come evitare di arrivare a dire «Basta, fila in camera tua»

Come evitare quindi di dire «Basta, fila in camera tua!»? Prima di tutto rispettando i bambini e i ragazzi; vediamo cosa vuol dire.

  • Essere consapevoli che i bambini si educano fin dal primo giorno di vita. Non esiste un momento in cui i bambini sono troppo piccoli per capire; piuttosto, il modo in cui ci rivolgiamo a loro deve farsi man mano più complesso, accompagnando la crescita.
  • Osservare i bambini e i ragazzi per comprendere i loro interessi e i loro bisogni e prepararsi per soddisfarli. Ciò non significa essere schiavi dei bambini o concedere loro di fare quello che vogliono, ma assecondare la naturale crescita dell’individuo e fornire quelle che consideriamo le giuste risposte.
  • I bambini e i ragazzi non pensano come gli adulti. Secondo le neuroscienze, il cervello sarà maturo solo verso i vent’anni e quindi fino ad allora le capacità decisionali dei bambini e dei ragazzi non sono guidate dalla razionalità, ma dal desiderio, dalle emozioni, dalla curiosità personale, dal bisogno di avere tutto subito. Se si osservano i propri figli in maniera montessoriana si colgono non i “capricci”, ma i bisogni di crescita.
  • Anticipare sempre i grandi cambiamenti: l’ingresso all’asilo, l’inizio della scuola primaria, la sessualità, l’adolescenza, l’uso dello smartphone… Anticipare significa fornire il giusto modo di approcciarsi a quel particolare cambiamento prima che il bambino o il ragazzo adotti comportamenti scorretti. L’amorevole autorevolezza del genitore, così, ha tutto il tempo per mostrare valori, atteggiamenti, comportamenti e scelte corrette.
  • I bambini vanno considerati come persone alle quali manca l’esperienza, e necessitano di tutti gli elementi che, come genitori, siamo in grado di fornire loro affinché possano affrontare le piccole sfide di tutti i giorni. Dobbiamo chiaramente considerare il fatto che fino ai 9/10 anni i bambini si fidano ciecamente di noi, mentre dai 10/11 anni mettono in discussione le nostre indicazioni perché vogliono “vivere da grandi”, pur non essendolo ancora. A volte mi viene da pensare che a causa della loro fisicità e forza, della loro energia e spavalderia giovanile, alcuni si sentano addirittura invincibili, quasi fossero dei supereroi. Ma noi genitori, con il nostro bagaglio di esperienza, sappiamo che i pericoli in agguato sono più di uno. Abbiamo quindi il dovere di mostrare ai nostri figli quella che reputiamo sia la strada corretta.
  • Evitare le bugie: bambini e ragazzi hanno bisogno della verità. Hanno bisogno di non essere imbrogliati. Penso al momento in cui lasciamo il bambino per andare al lavoro e scappiamo, di nascosto, quando lo vediamo distratto; è il primo germe della sfiducia. Piuttosto, salutiamolo e rassicuriamolo, anche se sta piangendo, anche se è doloroso.
  • I genitori non dovrebbero essere amici dei loro figli. Il ruolo del genitore è quello di educare, mostrare, far crescere; quello degli amici è di vivere insieme condividendo le stesse scoperte.

L’importanza di un’educazione basata sul rispetto

L’obiettivo di un’educazione basata sul rispetto è rendere la famiglia un posto sereno in cui è sempre bello tornare, sia per i genitori sia per i figli. Conosco molti genitori che alla fine dell’orario di lavoro farebbero di tutto pur di non andare a casa con la paura di trovarsi davanti una delle tante situazioni “da punizione”. E conosco tanti figli che quando vedono scritto “mamma” o “papà” sul display dello smartphone sbuffano e non risparmiano gli epiteti poco gradevoli. Ecco, credo che un’educazione che si basa sul rispetto e non sulla violenza fisica o verbale sia capace di evitare tutto ciò.

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Elena Ravazzolo

pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita nell’educazione allo studio di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione ambientale ed extrascolastica e lavora come formatrice per genitori nella provincia di Padova. Dal 2018 scrive per Uppa.

Articolo pubblicato il 14/10/2022 e aggiornato il 11/03/2024
Immagine in apertura ridvan_celik / iStock

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