La Klebsiella è un genere di batteri della famiglia delle Enterobacteriaceae, che può essere presente nel corpo umano o associato a infezioni più serie, ad esempio quelle ospedaliere e neonatali.
Ma quante forme di Klebsiella esistono? Quando e quanto è pericolosa questa infezione? E come si cura in modo efficace e sicuro? Per rispondere, è importante partire dalle basi: la biologia del batterio, i contesti in cui può diventare patogeno, cioè causare una malattia, e le strategie di trattamento più aggiornate.
Come detto, la Klebsiella appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae. Si tratta di cellule dalla forma allungata, comunemente detti “bastoncelli” gram-negativi, cioè batteri che, trattati e osservati al microscopio, non trattengono il colorante viola del test di Gram (esame di laboratorio che, appunto, dà origine alla classificazione dei batteri in Gram-positivi e Gram-negativi).
I batteri Gram-negativi hanno una membrana esterna complessa che li rende meno permeabili a molti antibiotici. Nel corpo umano, la Klebsiella può essere definita come “batterio commensale”, che vive nell’intestino e nelle mucose, come nel caso della Klebsiella pneumoniae. Quando le difese immunitarie si indeboliscono è un batterio che può diventare patogeno.
Per comprendere meglio le differenze è importante distinguere le specie più o meno note.
La Klebsiella pneumoniae è la specie più nota, responsabile di polmoniti, infezioni urinarie e, nei casi più gravi, di sepsi. È la specie più rilevante dal punto di vista clinico e, soprattutto, è molto resistente alla risposta immunitaria, pertanto nelle persone particolarmente fragili e immunodepresse può causare infezioni insidiose.
La Klebsiella pneumoniae si trova nelle mucose respiratorie e intestinali, quando diventa patogena può attraversare le vie respiratorie e urinarie e il circolo sanguigno. Alcune situazioni possono aumentare la probabilità che si verifichi questa eventualità, come le ferite chirurgiche, l’utilizzo di cateteri o di supporti invasivi per la ventilazione.
Contenere le infezioni patogene da Klebsiella pneumoniae è molto importante, soprattutto nei reparti ospedalieri e nelle terapie intensive, incluse quelle neonatali, dove i nati pretermine sono soggetti particolarmente a rischio. [1]
Questo tipo di infezione è definita anche “da contatto”, perchè può essere contratta proprio dalla contaminazione di determinate superfici, soprattutto maniglie, porte, bagni; di conseguenza l’igiene delle mani è un atto fondamentale e mai scontato per ridurre i rischi e contenere le conseguenze.
Esistono alcune sottospecie di Klebsiella pneumoniae, responsabili di infezioni alle vie nasali e respiratorie, ovvero:
Oltre alla Klebsiella pneumoniae, esistono anche:
La Klebsiella pneumoniae può essere contagiosa e la sua trasmissione avviene per contatto diretto o indiretto con mani, superfici, feci o saliva contaminate.
Il periodo di incubazione dipende dal tipo di Klebsiella, nel caso della pneumoniae, ad esempio, va da pochi giorni a 1-3 settimane. La Klebsiella granulomatis, causa una rara infezione trasmissibile sessualmente, con un periodo di incubazione di 1-6 settimane.
Un tipo di trasmissione da non sottovalutare mai è quella madre-figlio durante il parto, con il rischio di una conseguente infezione neonatale.
La Klebsiella oxytoca, si trasmette anch’essa per contatto con superfici o strumenti contaminati, quali cateteri, supporti ventilatori, così come la Klebsiella ornithinolytica.
Le infezioni dovute alle diverse specie di Klebsiella colpiscono soprattutto i soggetti più fragili, come i neonati, le persone anziane, gli immunodepressi, pazienti che necessitano di cateteri, ospedalizzati, donne in gravidanza.
Quando diventa patogeno è un batterio opportunista che approfitta di condizioni di debolezza del sistema immunitario, ed essendo molto resistente ad alcuni antibiotici, necessita di un trattamento tempestivo ma soprattutto è importante ridurre al minimo i rischi di contagio.
I sintomi della Klebsiella pneumoniae, cioè della forma più diffusa, variano in base alla sede dell’infezione. Si noterà anzitutto:
Un’altra forma di Klebsiella polmonare è causata dalla K. oxytoca con sintomi molto simili alla specie pneumoniae.
La Klebsiella può essere responsabile anche di sintomi urinari (bruciore, urine torbide, dolore lombare, pielonefriti), in particolare causati da Klebsiella pneumoniae, oxythoca, ornithinolytica.
Alcune manifestazioni dell’infezione da Klebsiella possono interessare anche l’intestino, con gonfiore, diarrea, dolore addominale, e nausea. In particolare, in presenza della Klebsiella oxytoca, i sintomi possono includere colite e diarrea.
Diverse specie di Klebsiella, una volta diventate patogene, possono attraversare il circolo sanguigno, a partire dal loro focolaio di origine (polmonare o urinario ad esempio).
Con il termine “batteriemia” si intende la presenza di batteri nel sangue, condizione che rischia di evolvere in “setticemia”, dovuta a una reazione infiammatoria scatenata dal rilascio di molecole dannose, chiamate endotossine, da parte del batterio. La setticemia si manifesta con sintomi via via più gravi quali febbre alta, brividi, ipotensione e confusione.
La Klebsiella pneumoniae e la Klebsiella oxythoca, sono le principali responsabili di batteriemia, che se non trattata adeguatamente può evolvere in sepsi, specie nei neonati e nelle persone ospedalizzate e immunocompromesse (persone con diabete, malattie rare, oncologiche, solo per fare un esempio).
Durante la gravidanza, la Klebsiella pneumoniae può essere isolata nelle urine, attraverso i controlli di routine, pur in assenza di sintomi. Tuttavia è una condizione che non va trascurata perché può evolvere in un’infezione sintomatica, con febbre, malessere generale, urine maleodoranti.
Il trattamento tempestivo è fondamentale per evitare complicazioni (batteriemia, pielonefrite, ovvero infezione dei reni, o una cistite acuta). Soprattutto in gravidanza, questo tipo di infezione urinaria non trattata aumenta il rischio di parto pretermine, di rottura precoce delle membrane e di trasmissione madre-figlio; in casi estremamente rari può verificarsi un’infezione placentare chiamata corioamniosite.
La terapia prevede antibiotici sicuri per la gravidanza, come l’amoxicillina, ma soprattutto il trattamento tempestivo. [2]
La trasmissione materno-fetale può causare un’infezione neonatale. Le infezioni da Klebsiella pneumoniae, soprattutto nelle urine del neonato, sono pericolose perché il sistema immunitario del bambino è immaturo, ancor più nel nato pretermine e ospedalizzato in terapia intensiva. Possono manifestarsi con febbre, inappetenza, perdita di peso, letargia, irritabilità, in casi più gravi possono presentarsi anche polmoniti, sepsi, pielonefriti.
La trasmissione può avvenire durante il parto ma anche in ospedale (infezione nosocomiale). La terapia è sempre ospedaliera e richiede antibiotici mirati e isolamento.
Le principali forme di infezione da Klebsiella si manifestano con polmoniti, problemi alle vie respiratorie e alle vie aeree superiori. In particolare l’infezione da Klebsiella pneumoniae è responsabile della polmonite, e i suoi sottotipi, la Klebsiella rinoscleroma e la Klebsiella ozena, causano patologie più rare alle vie nasali, quali la formazione di noduli, ostruzione alle vie respiratorie e una forma di rinite, conosciuta come ozena.
Le polmoniti possono essere causate anche da altre forme di Klebsiella, come la oxythoca. Le infezioni croniche non curate possono indebolire le mucose e, in rari casi, favorire processi infiammatori prolungati, che coinvolgono ad esempio anche le vie urinarie, causando infezioni urinarie, cistiti, pielonefriti; ne sono responsabili principalmente la Klebsiella pneumoniae, oxythoca, ornithinolytica.
In alcuni casi possono associarsi a queste infezioni, alcune forme di meningite, di colecistite e di ulcere genitali.
In condizioni particolarmente debilitanti, ad esempio nei bambini e negli adulti sottoposti a trattamenti oncologici, il sistema immunitario purtroppo risulta particolarmente suscettibile ad alcuni tipi di infezioni, come quella da Klebsiella pneumoniae.
Non esiste un legame diretto tra tumore e infezione, se non una maggiore fragilità dell’organismo, che può portare a un’infezione, con sintomi più sistemici, fino al rischio di sepsi.
Attualmente le infezioni opportunistiche, per i pazienti oncologici, rappresentano la seconda causa di mortalità, inclusi i bambini sottoposti a chemioterapie e a trapianto di midollo osseo. [3]
La diagnosi di Klebsiella si basa principalmente su esami quali:
Un altro esame indispensabile è l’antibiogramma, che stabilisce la sensibilità agli antibiotici al fine di somministrare una terapia il più efficace possibile e, di conseguenza, limitare la diffusione del batterio e le complicanze a esso correlate.
Nella maggior parte dei casi si guarisce dalla Klebsiella grazie a una diagnosi corretta e a una risposta antibiotica efficace.
In particolare, la Klebsiella pneumoniae, la specie più diffusa, risponde a una terapia, che prevede antibiotici scelti in base all’esito dell’antibiogramma. Si scelgono in fase iniziale degli antibiotici ad ampio spettro, quali cefalosporine, carbapenemi, chinoloni, aminoglicosidi.
Se la Klebsiella pneumoniae (oltre alle specie oxythoca, ornithinolytica), è presente anche nelle urine, si può usare la fosfomicina, o i fluorochinoloni in presenza di infezioni più gravi, dove la terapia può includere la somministrazione per via orale o endovenosa.
Esiste un sottotipo di Klebsiella multiresistente, la Klebsiella kpc (nota anche come Klebsiella 1.580, nella classificazione OMS), che produce enzimi in grado di inattivare l’azione degli antibiotici. La sfida attuale è nel contenere questo tipo di infezioni ma soprattutto di individuare nuovi farmaci efficaci per il trattamento.
Sono stati isolati anche altri ceppi, la Klebsiella esbl e Klebsiella New delhi. La prima è una forma di K. pneumoniae che ha sviluppato una resistenza agli antibiotici più comuni, poiché produce enzimi (detti beta-lattamasi) in grado di inattivare le cefalosporine, rendendole inefficaci, però rispondono alla terapia antibiotica con carbapenemi.
Un altro caso è quello della Klebsiella metallo-beta-lactamase (NDM-1), un ceppo batterico che produce un enzima (l’NDM-1 appunto) multiresistente a un ampio gruppo di antibiotici. Alcuni focolai infettivi sono stati causati proprio da questo batterio iper resistente, che può avere un esordio asintomatico ma poi può causare gravi infezioni urinarie e polmonari. Si è mostrata efficace in questo caso una combinazione di antibiotici quali il meropenem, la colestina, la tigeciclina.
Questi batteri rappresentano una priorità globale per la ricerca di nuovi farmaci e di protocolli igienici, efficaci nel contenimento delle malattie infettive. In ospedale, i pazienti pediatrici e adulti con infezioni da forme multiresistenti devono essere isolati e devono essere osservati protocolli molto rigidi anche da parte del personale sanitario.
Proprio a causa dell’aggressività delle infezioni da Klebsiella nei bambini e negli adulti fragili, e dell’elevato rischio di ceppi multiresistenti alla terapia farmacologica, vanno associate sempre norme igieniche molto scrupolose, dall’igiene delle mani, veicolo di contaminazione primario, alla disinfezione di superfici e di biancheria, all’uso di dispositivi di protezione monouso (mascherine, guanti) quando necessario, e l’isolamento durante la terapia.
Seguire scrupolose norme igieniche è anche un fondamentale strumento di prevenzione per la Klebsiella, soprattutto per i soggetti più a rischio.
Anche l’alimentazione può rivestire un ruolo importante. Uno studio del 2024 ha indicato come una dieta ricca di fibre prevenga la colonizzazione intestinale della K. pneumoniae, supportando l’attività protettiva del microbiota sull’equilibrio intestinale.
Un altro studio supporta invece l’integrazione di omega 3 durante la terapia per quanto riguarda le forme acute di infezione da Klebsiella, utile per le sue proprietà antiinfiammatorie.
Questo tipo di infezioni possono essere anche asintomatiche, ma proprio per questo vanno monitorate; se iniziano a manifestarsi sintomi come febbre persistente, tosse, dolore quando si urina o, nel neonato, irritabilità, letargia e innalzamento della temperatura corporea, è necessario rivolgersi al medico di famiglia o allo specialista di fiducia. Questo è essenziale per evitare complicazioni, che possono presentarsi rapidamente soprattutto in condizioni di particolare fragilità.
È bene sottolineare che in presenza di un’infezione da Klebsiella pneumoniae, le terapie naturali, così come l’assunzione di farmaci senza prescrizioni, non sono indicate. Questo discorso vale per qualsiasi specie o sottotipo del batterio (e in generale per tutte le infezioni).
Come abbiamo accennato in precedenza, uno stile di vita sano supporta senz’altro meglio l’organismo nel rispondere a un’infezione, ma è un’insieme di fattori a portare alla guarigione e a prevenire recidive, ovvero: terapia efficace, igiene, isolamento, gestione delle patologie preesistenti, trattamento delle ferite, contenimento nei reparti ospedalieri.
Come detto, le diverse tipologie di batteri della Klebsiella sono comuni e possono convivere con noi, ma diventano pericolosi in situazioni di fragilità o in ambiente ospedaliero, dove spesso si sviluppano batteri multiresistenti. Con una diagnosi precoce, una terapia mirata e buone pratiche di prevenzione, la guarigione è nella maggior parte dei casi completa.
Zhang L., et al.; “Antimicrobial Resistance: A Silent Pandemic”; PLOS Medicine (da PubMed Central), 2024.
World Health Organization (WHO); “Global Priority List of Antibiotic-Resistant Bacteria”, who.int, 2017.
Centers for Disease Control and Prevention (CDC); “Antibiotic Resistance Threats Report”, cdc.gov, 2022.