Latte di mucca o capra al posto di quello materno?

Ogni specie di mammifero ha un latte formulato espressamente per i suoi piccoli: per questo il latte di altre specie non va bene. Vediamo perché

Immagine per l'autore: Paolo Sarti
Paolo Sarti , pediatra
Latte di derivazione animale

Ogni specie ha il proprio latte, con cui alimenta i cuccioli fino allo svezzamento. Solo l’essere umano è sfuggito a questa regola e si è organizzato per nutrire i propri piccoli anche con latte di altre specie. L’uso di latte sostitutivo è antichissimo: se ne trova traccia già in reperti archeologici dell’antico Egitto. Inoltre non erano rari i casi di allattamento di esseri umani direttamente da parte di animali: celebre la leggenda di Romolo e Remo, allattati dalla lupa. L’abitudine di far attaccare i bambini direttamente alle mammelle di una capra in caso di mancanza del latte materno si è protratta fin quasi ai nostri giorni.

“La capra si addomestica e si educa, e prende quasi affezione al piccino, inoltre ha il capezzolo più adatto. La capra dopo poche volte da sé accorrerà alle grida del suo allievo umano e si collocherà in modo che quello possa facilmente e senza pericolo poppare”. Questo è ciò che scriveva nel 1906 il periodico milanese «Igiene della mamma e del bambino».

Interviene la scienza

Lo sviluppo delle conoscenze della chimica ha consentito di analizzare e quindi di confrontare i costituenti dei vari tipi di latte usati nei secoli in sostituzione di quello materno: vacca, asina, capra e pecora. Il più vicino a quello materno è risultato essere il latte di asina. Una vicinanza comunque estremamente approssimativa e che non tiene certo conto delle recenti scoperte sulle qualità immunitarie e bio-specifiche del latte umano. La lontananza di specie è ancora più evidente per il latte di capra, di mucca e di pecora ed è quindi impossibile poter usare questi latti così come sono nel primo anno di vita, senza che il bambino ne subisca danni e corra rischi.

I primi tentativi di produrre un latte sostitutivo per l’uomo, nonostante la maggiore affinità del latte asinino a quello umano, sono partiti dall’elaborazione del latte di mucca, per via della sua facile reperibilità: sono nati così quelli che chiamiamo latti artificiali.

Naturale non è sempre meglio…

Nei secoli passati la scelta di ricorrere semplicemente al latte di un altro animale era inevitabile per mancanza di soluzioni alternative. Farlo oggi, invece, come invitano alcuni movimenti “naturalistici”, significa esporre il bambino a danni e rischi; mossi solo da emotività, mode e scarse conoscenze, si rivende per “scelta naturale” e “ritorno alla natura” quello che in realtà è il rifiuto di anni di studi e conoscenze, costati la fatica di molti ricercatori. Ed è oltretutto anche un rifiuto puerile dei dati storici, che hanno dimostrato i grandi vantaggi ricevuti dai bambini a seguito del costante miglioramento della composizione dei latti artificiali.

La vera naturalità sta nel rispetto delle regole biologiche scritte milioni di anni fa e non nell’utilizzo decorativo e paesaggistico di mucche o capre pascolanti: il loro latte è naturale solo per vitelli e capretti rispettivamente. Per l’uomo, l’unico latte previsto dalla natura è quello di donna (dunque bisogna incentivare l’allattamento al seno o comunque la conservazione e la somministrazione del latte materno quando il bambino non può prenderlo direttamente dalla mamma): se manca, la sostituzione più naturale oggi disponibile la produce l’industria e non si trova nei campi o nelle stalle.

Articolo pubblicato il 24/06/2013 e aggiornato il 22/09/2022

Condividi l'articolo