Perché i casi di morbillo sono in aumento?

La notizia di una significativa diminuzione delle vaccinazioni negli USA, legata ai timori per la pandemia di COVID-19, ci ricorda l’importanza dei vaccini, sui quali è fondamentale non abbassare la guardia e informarsi in maniera corretta

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Anna Rita Longo , divulgatrice scientifica
Bambino piccolo che viene vaccinato da un medico

Di recente il «New York Times» ha posto l’accento sulla riduzione del numero di vaccinazioni pediatriche negli Stati Uniti per malattie altamente contagiose, tra cui il morbillo e la poliomielite, in seguito all’emergenza pandemica. Si tratta una situazione che è stata segnalata anche in altre aree del mondo, Italia compresa, e che ha fatto registrare un aumento dei casi di morbillo, per esempio negli Stati Uniti.

Il rischio è quello del ritorno di focolai di questa malattia, da molti ingiustamente sottovalutata e contro la quale già disponiamo di uno strumento potentissimo, in grado – se diffuso capillarmente presso tutta la popolazione – di debellarla del tutto. Stiamo parlando del vaccino, e, nello specifico, della vaccinazione trivalente, che protegge dal morbillo, dalla parotite e dalla rosolia (dal 2017 è disponibile anche quella tetravalente, che in più protegge dalla varicella).

Purtroppo i vaccini, della cui importanza ci ricordiamo con particolare forza quando ne sentiamo la mancanza (come nel caso del virus SARS-CoV-2, che causa la COVID-19), suscitano ancora le perplessità di alcuni genitori. Vittime di una disinformazione diffusa – alla quale potrebbe contribuire anche il tono aggressivo adoperato da una parte della comunicazione della scienza –, esitano a far vaccinare le proprie figlie e i propri figli, pur desiderando, come la stragrande maggioranza dei genitori, il loro bene.

Errori di prospettiva

Cerchiamo di fare il punto sul morbillo, partendo da una delle domande più comuni. Per quale ragione una malattia in passato tanto frequente nei bambini, insieme a tutte quelle esantematiche, viene fatta oggetto di una vaccinazione che ci si augurerebbe di estendere a tutti? Non si sta forse demonizzando eccessivamente un “passaggio naturale”, impedendo così ai bambini di “rinforzarsi” attraverso il superamento spontaneo delle diverse infezioni? Molti di noi avranno contratto il morbillo durante l’infanzia, ed è difficile resistere alla tentazione di pensare che, se siamo ancora tutti qui, vuol dire che non si tratta di un problema poi così serio. Ma staremmo commettendo un gravissimo errore di prospettiva, potenzialmente molto pericoloso se ci portasse alla conclusione di non vaccinare i figli.

Il bias di sopravvivenza

Il ragionamento «tutti abbiamo avuto il morbillo e lo abbiamo superato» è sicuramente spontaneo, ma ha alle spalle un errore logico definito “bias di sopravvivenza”. Naturalmente solo chi ha superato un determinato evento può dare la propria testimonianza, perché chi, purtroppo, è morto in età infantile per una complicanza del morbillo non può farlo. Di queste persone, che non possono far sentire la propria voce, si deve comunque tenere conto quando si parla delle conseguenze della scelta di non vaccinare. 

Tra le complicanze più gravi del morbillo c’è l’encefalite, un’infiammazione del cervello, che colpisce circa 1 contagiato su 1000 e ha un alto tasso di mortalità (il 15% circa) e di gravi conseguenze neurologiche (nel 30% circa dei casi). Tra le altre possibili complicanze ci sono le infezioni respiratorie (tra cui la polmonite dovuta al virus del morbillo, frequente causa di morte, soprattutto nei lattanti) e i problemi a vista e udito. Studi recenti hanno anche messo in evidenza un aumento della frequenza delle complicanze cerebrali, soprattutto nei bambini con meno di un anno. Siccome non esistono terapie specifiche per il morbillo, l’unica difesa efficace è il vaccino, che risulta, quindi, importantissimo.

Disinformazione fraudolenta

Purtroppo, tempo fa, contro il vaccino trivalente che protegge da morbillo, parotite e rosolia si è scatenata una campagna di disinformazione dovuta a una gravissima frode scientifica motivata da un bieco interesse personale. Andrew Wakefield, medico in seguito radiato dall’ordine, pubblicò uno studio che collegava il vaccino trivalente con l’autismo. A seguito del lavoro encomiabile del giornalista scientifico Brian Deer, che mise in luce la falsificazione dei dati da parte di Wakefield, motivata da interessi economici, emerse chiaramente la totale falsità delle affermazioni contenute nello studio. Purtroppo questo non è bastato a fermare l’onda della disinformazione, le cui conseguenze si vedono ancora oggi. Wakefield continua a essere un punto di riferimento del movimento antivaccinista e le sue tesi sono tuttora riportate in modo acritico da alcuni programmi TV, da giornali e nel web, generando paure e confusione.

Quello che, invece, i fatti scientifici ci dicono chiaramente è che il vaccino trivalente è una protezione efficace e sicura, e che il rapporto rischi/benefici è nettamente a favore dei benefici. Vaccinare bambine e bambini è senz’altro la scelta giusta, ed è importante non abbassare la guardia anche in un momento come questo, in cui alcuni genitori tendono a ritardare gli appuntamenti con il calendario vaccinale per timori legati alla diffusione della COVID-19. Naturalmente sarà cura del centro cui ci si rivolge organizzare la gestione degli appuntamenti nel pieno rispetto delle norme di sicurezza.

È meglio l’immunità naturale o quella indotta dai vaccini?

Cosa rispondere ai genitori che, spinti dalla diffusa disinformazione, sono indotti a pensare che immunizzarsi naturalmente, contraendo le diverse malattie, sia meglio che essere sottoposti ai vaccini? Ne abbiamo parlato con Antonella Viola, docente di Patologia generale all’Università di Padova e immunologa di fama internazionale. «Per alcuni vaccini», ci ha detto, «è vero che la vaccinazione induce un’immunità meno forte rispetto alla malattia naturale, ed è questo il motivo per cui bisogna fare più somministrazioni per ottenere la risposta desiderata. Ma facendo gli opportuni richiami si è protetti. Alcuni vaccini conferiscono un’immunità di lunga durata, come fa la malattia (il morbillo, per esempio), mentre altri, come pure nel caso della malattia, inducono un’immunità che dura di meno (la pertosse). Per certi patogeni, invece, la vaccinazione funziona addirittura meglio della malattia naturale: per esempio per il papilloma virus, il tetano, l’Haemophilus influenzae di tipo b (i bambini sotto i 2 anni non sviluppano una buona risposta all’infezione naturale, ma lo fanno al vaccino) o lo pneumococco». 

Non bisogna inoltre dimenticare le conseguenze della scelta di non vaccinare: «In tutti i casi», continua Antonella Viola, «il prezzo da pagare per l’immunità naturale è la malattia, che può essere più o meno grave e che può addirittura portare alla morte. Nessuno può sapere quale sarà la gravità della malattia naturale nel proprio bambino. Infine, vaccinandoci otteniamo immunità proteggendo anche gli altri, quelli più deboli che non si possono vaccinare, mentre con l’infezione naturale facciamo circolare i patogeni e mettiamo a rischio la vita delle persone fragili», conclude.

Per saperne di più

Ai genitori desiderosi di approfondire le loro conoscenze sui vaccini possiamo consigliare due interessanti letture: Vaccini. Il diritto di (non) avere paura di Roberta Villa (Il Pensiero Scientifico Editore, 2019) e Le grandi epidemie. Come difendersi di Barbara Gallavotti (Donzelli editore, 2019).

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Anna Rita Longo

Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.

Articolo pubblicato il 25/11/2020 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura Jovanmandic / iStock

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