«Te lo prometto!»

Le promesse fatte a un bambino possono assumere significati diversi, a seconda del contesto e dell’intenzione con cui vengono pronunciate: se alcune nascondono un grande valore educativo, altre andrebbero evitate perché rischiano di intaccare il legame di fiducia e la credibilità del genitore agli occhi del bambino

Immagine per l'autore: Chiara Borgia
Chiara Borgia , direttrice di Uppa magazine
Padre e figlio sdraiati assieme

Nella vita quotidiana dei genitori accade spesso di fare delle promesse ai bambini: a volte per tranquillizzarli in una situazione di disagio o paura, altre volte per rispondere a una loro richiesta o desiderio, e altre volte ancora nel tentativo di far fronte ai cosiddetti capricci. Ma cosa accade all’interno della relazione educativa quando diciamo: «Te lo prometto»? Che valore ha la promessa di un adulto? E quella di un bambino?

Etimologicamente, la parola “promettere” si traduce in “mandare avanti, mettere in vista”. Assume quindi il significato di annunciare ad altri la propria intenzione dando la propria parola, mettendo in gioco sé stessi rispetto a una data situazione, cui si dà valore e importanza.

La promessa è un impegno cui si risponde personalmente; è difatti una formula utilizzata in molti cerimoniali per celebrare e condividere ufficialmente un impegno davanti alla comunità sociale. Insegnare a un bambino il valore di una promessa può avere grande importanza educativa, per la costruzione dell’identità personale, la relazione con l’altro e la proiezione di sé stessi nel futuro.

Le promesse dei grandi

«Ti prometto che non ti lascerò solo, stanotte rimango qui vicino a te, ti tengo stretto, va bene?», dice un papà al suo bimbo spaventato da un brutto sogno. «Ti prometto che se adesso smetti di piangere e mangi tutto, ti compro quel giocattolo che hai visto in TV», afferma una mamma per convincere il bambino a pranzare.

«Mamma, papà, andiamo al parco giochi in bici?». «Adesso non è possibile ma ci andremo domani, promesso!», rispondono i genitori alla richiesta del figlio. Questi esempi ci aiutano a comprendere come una promessa fatta al bambino possa assumere caratteristiche e significati diversi, a seconda del contesto e dell’intenzione con cui viene pronunciata. Nel primo caso le parole del papà possono avere un forte valore rassicurante per il piccolo che, per affrontare la sua paura, ha bisogno che in quel momento il genitore eserciti la sua funzione protettiva. La promessa allora rafforza il messaggio del papà, che si sintonizza sul bisogno del suo bambino. Quel “ti prometto” significa «ho capito che sei in difficoltà e per me è importante quanto per te; puoi contare su di me, non sarai da solo».

Nel secondo caso, assai comune, la promessa sembra essere un modo di trovare una via d’uscita in una situazione spinosa: l’intento della mamma è convincere il bambino a fare una cosa che lui non vuole fare. La promessa diventa allora ricompensa, tentativo di lusinga e distrazione. Inoltre, assomiglia a un tentativo di contrattazione dell’adulto con il bambino, sullo stesso piano, come se la mamma dicesse: «Se tu fai questo per me, io faccio questo per te…». Sarebbe interessante chiedersi se, nel caso in esempio, “contrattare” sul cibo possa essere una strada educativamente fruttuosa… Funzionerà? Per quante volte? Che tipo di messaggio invia alla relazione tra mamma e bambino, al legame tra cibo e ricompensa?

Promesse rischiose

Questo genere di promesse, che mirano a condizionare il comportamento del bambino, sono educativamente rischiose e a lungo andare poco fruttuose.

Confondono il bambino su quali siano le cose “importanti” (tali da meritare una promessa) e hanno come conseguenza una dinamica relazionale che si avvicina a quella del ricatto reciproco: «Se fai il bravo, ti prometto che…», oppure, dalla parte del bambino, «faccio questa cosa se mi prometti che otterrò quello che voglio». In questo “stile educativo” troviamo anche le promesse-minacce: «Se non la smetti, ti prometto che ti darò uno schiaffo!».

L’ultimo esempio riguarda il legame di fiducia e la credibilità del genitore agli occhi del bambino. La parola data sul parco giochi verrà rispettata o no il giorno dopo? Questa situazione ci ricorda che a volte i genitori promettono delle cose ai figli senza pensarci troppo su e capita che si dimentichino dell’impegno preso… ma attenzione, i bimbi hanno buona memoria!

E se non la mantengo?

La conseguenza è ovvia: ogni promessa non mantenuta sminuisce il valore del promettere. Il bambino la volta successiva tenderà a non credere più alle parole del genitore e potrà sentirsi preso in giro o tradito.

Non dobbiamo però pensare che fare il genitore voglia dire diventare un essere quasi perfetto, che non sbaglia mai. In linea generale, allora, bisognerebbe impegnarsi a fare poche promesse ma buone, dando così importanza alle occasioni e ai motivi per cui le facciamo. Se ci capita poi di non tener fede a quanto dichiarato, spieghiamolo ai bambini dicendo la verità e scusandoci con loro. Ritornando all’esempio del parco giochi, se non possiamo andarci per un imprevisto, spieghiamo al bambino perché la situazione non lo ha permesso, magari aggiungendo che ci dispiace. Se invece ce ne siamo dimenticati o avevamo buttato lì una promessa tanto per farlo stare quieto, prendiamocene la responsabilità e chiediamo scusa per l’errore. Questi comportamenti saranno da esempio per nostro figlio, che tenderà a riproporre con gli altri ciò che ha imparato da papà e mamma.

Le promesse dei bambini

Chiediamo spesso ai bambini di fare delle promesse che, perlopiù, riguardano modifiche al loro comportamento: «Promettimi che non farai più il monello; promettimi che non ti sporcherai la maglietta giocando»… E spesso ci arrabbiamo perché il bambino non riesce a rispettarle. Ma fino a che punto gli stiamo chiedendo una cosa per lui realizzabile e che rispetta i suoi bisogni di crescita? Il bambino che dice «Te lo prometto, non lo faccio più» vorrebbe sinceramente assecondare la richiesta del genitore anche quando non la capisce, perché desidera che mamma e papà siano contenti di lui, vuole sentirsi amato. Non potrà però smettere di essere un bambino e chiedergli l’impossibile, per la sua età e maturazione, significa farlo sentire inadeguato e in colpa.

Fare del proprio meglio

Possiamo aiutare i bambini, man mano che crescono, a imparare a portare avanti dei piccoli impegni personali. Piuttosto che dire «promettimi di non fare il monello», chiediamogli di impegnarsi a fare o non fare una determinata azione, in un arco di tempo preciso, provando a spiegargli il perché. Una formula adatta potrebbe essere quella di sollecitarlo a “fare del proprio meglio”, sempre su obiettivi concreti e a breve termine. «Prometto di fare del mio meglio» è un obiettivo realizzabile, che mette al centro non tanto il risultato finale ma la volontà, l’impegno e le caratteristiche personali del bambino. Un motto da ricordare e usare in numerose occasioni.

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Chiara Borgia

pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.

Articolo pubblicato il 02/11/2020 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura Georgijevic / iStock

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