Quando la pediatra ha prescritto a Rebecca una semplice integrazione di vitamina D «per prevenire il rachitismo», i suoi genitori sono rimasti perplessi. «Il rachitismo non era una malattia del passato, quasi scomparsa?».
In realtà, anche se oggi è molto meno frequente rispetto al passato, può ancora comparire nei bambini, soprattutto nei primi anni di vita. Conoscerlo aiuta a prevenirlo e a intervenire tempestivamente quando necessario.
Per comprendere il rachitismo, è utile partire dal significato della parola: si tratta di una malattia che compromette la normale mineralizzazione dello scheletro in crescita. Le ossa dei bambini diventano più morbide, deformabili e più soggette a lesioni. Il meccanismo alla base è quasi sempre legato alla vitamina D, una sostanza essenziale per l’assorbimento del calcio e per la mineralizzazione ossea. Senza livelli adeguati di vitamina D, calcio e fosforo non possono essere incorporati correttamente nell’osso.
Dal punto di vista epidemiologico, oggi il rachitismo è raro nei Paesi occidentali, ma non scomparso: può presentarsi nei bambini con diete molto selettive, scarsa esposizione solare, patologie croniche o carenze materne in gravidanza.
I sintomi del rachitismo più tipici dipendono dal grado di demineralizzazione dell’osso in crescita. Le ossa diventano deboli e morbide, con possibile dolore alle gambe e al torace. Spesso è presente un ritardo della crescita e una statura più bassa rispetto ai coetanei.
Tra i segni più caratteristici ci sono le deformità degli arti inferiori: gambe arcuate (varismo), ginocchia che “collassano” verso l’interno (valgismo) e difficoltà nel mantenere l’allineamento durante la camminata. A livello del torace possono comparire il cosiddetto rosario rachitico (piccoli rigonfiamenti delle cartilagini costali), il petto carenato (deformità della parete toracica in cui lo sterno sporge in avanti) e il pectus excavatum (infossamento della parte centrale dello sterno).
Anche il cranio può essere coinvolto: nei bambini piccoli è possibile osservare craniotabe (regioni occipitali più morbide) e una chiusura ritardata della fontanella. Polsi e caviglie possono apparire ispessiti a causa dell’allargamento delle cartilagini di accrescimento.
Sul versante dentale, sono possibili alterazioni dello smalto e un maggior rischio di carie. Molti bambini mostrano inoltre ipotonia, ritardo nelle tappe motorie e, nei casi più avanzati, fratture ossee anche con traumi minimi (le cosiddette fratture patologiche).
Nel rachitismo le cause principali sono legate quasi sempre a una carenza di vitamina D, calcio o fosforo.
La vitamina D è fondamentale per la salute dello scheletro. Essa viene prodotta dalla pelle grazie all’esposizione solare e in misura minore introdotta con la dieta. Una volta assorbita, deve essere trasformata dal fegato e poi attivata dai reni, diventando calcitriolo, la sua forma biologicamente attiva. Il calcitriolo aumenta l’assorbimento di calcio e fosforo dall’intestino e regola il rimodellamento osseo. Se manca uno di questi passaggi, la mineralizzazione diventa insufficiente.
Quando i livelli di vitamina D sono bassi, l’organismo non riesce ad assorbire abbastanza calcio, con conseguente ipocalcemia. Il corpo reagisce aumentando il paratormone, che sottrae minerali alle ossa per mantenere il calcio nel sangue. Questo processo causa demineralizzazione, debolezza ossea e deformazioni. In molti casi è presente anche ipofosforemia, che contribuisce a un quadro di osteomalacia scheletrica (difetto di mineralizzazione ossea).
Alcuni bambini hanno una maggiore probabilità di sviluppare rachitismo. Il primo fattore è la scarsa esposizione solare, fondamentale per la produzione di vitamina D: succede nei bambini che trascorrono poco tempo all’aperto o che hanno pelle scura, perché la sintesi cutanea è meno efficiente.
Anche l’alimentazione può contribuire: diete povere di vitamina D e calcio, oppure un allattamento esclusivo prolungato senza integrazione, possono non garantire un apporto sufficiente. I neonati prematuri e quelli nati da madri carenti di vitamina D partono inoltre con scorte ridotte. Infine, alcune condizioni mediche possono ostacolare l’assorbimento o l’attivazione della vitamina D, come celiachia, fibrosi cistica o malattie renali ed epatiche. Sapere chi è più a rischio aiuta a riconoscere precocemente la malattia e, soprattutto, a prevenirla con semplici abitudini quotidiane.
Rachitismo infantile. Il tipo più frequente, generalmente dovuto a carenza di vitamina D. È tipico del primo anno di vita e risponde molto bene alla terapia.
Rachitismo da malassorbimento. Compare nei bambini con malattie gastrointestinali che impediscono l’assorbimento delle vitamine o dei minerali, come celiachia o malattie infiammatorie intestinali.
Altre forme di rachitismo. Alcune condizioni più rare includono il rachitismo da malattie epatiche o da farmaci anticonvulsivanti, che accelerano la degradazione della vitamina D.
La diagnosi di rachitismo nei bambini nasce prima di tutto dall’osservazione clinica. Il pediatra valuta la presenza dei segni più tipici – come deformità degli arti, ispessimento dei polsi o ritardo nella crescita – e raccoglie informazioni su alimentazione, esposizione solare e eventuali fattori di rischio. Quando il sospetto è fondato, si passa agli esami del sangue, che permettono di capire se la mineralizzazione ossea è compromessa: si osservano spesso ipocalcemia, ipofosfatemia, aumento della fosfatasi alcalina e talvolta un paratormone elevato. Il dosaggio della 25(OH)D è fondamentale perché indica le riserve di vitamina D dell’organismo.
A completamento, le radiografie mostrano alterazioni caratteristiche nelle ossa in accrescimento, utili sia per confermare il quadro sia per valutare la severità della malattia. In situazioni particolari, come nei sospetti di forme ereditarie, possono essere indicati esami genetici. In molti casi, però, la diagnosi arriva già dalla combinazione tra visita, anamnesi ed esami di base, senza bisogno di approfondimenti più complessi.
Il rachitismo ipofosfatemico è una forma ereditaria in cui il problema principale non è la vitamina D, ma la perdita renale di fosfato. La forma più comune è quella legata al cromosoma X. Queste condizioni vengono definite rachitismo vitamina D resistente.
A queste si affiancano:
La terapia del rachitismo dipende dalla causa e dal grado di carenza.
È la forma più comune e più semplice da trattare. Prevede:
In passato veniva usata anche la cura del rachitismo con raggi ultravioletti, oggi meno comune grazie alla disponibilità di integratori sicuri ed efficaci.
Prevede terapia combinata con fosfato orale e calcitriolo. Negli ultimi anni è disponibile burosumab, un anticorpo monoclonale che migliora il metabolismo del fosfato. Richiede monitoraggio attento per possibili effetti collaterali. Le deformità ossee più importanti possono richiedere correzione ortopedica.
La prevenzione del rachitismo passa soprattutto da buone abitudini quotidiane, semplici ma molto efficaci. Un ruolo centrale lo ha l’alimentazione: introdurre fin dall’avvio dell’alimentazione complementare cibi ricchi di vitamina D e calcio (come latte, yogurt, pesce e uova) aiuta a costruire ossa sane. Nei primi mesi di vita, invece, è fondamentale la supplementazione di vitamina D, raccomandata per tutti i lattanti, specialmente quelli allattati al seno.
Anche la luce solare è un alleato importante. Bastano brevi periodi all’aria aperta, sempre con le dovute precauzioni, per favorire la produzione naturale di vitamina D da parte della pelle. Infine, la prevenzione inizia già durante la gravidanza: un adeguato apporto di vitamina D nella futura mamma permette al neonato di nascere con scorte sufficienti, riducendo il rischio di carenza nei primi mesi di vita.
La buona notizia è che il rachitismo, quando viene riconosciuto presto e trattato correttamente, ha in genere una prognosi eccellente. Nella maggior parte dei bambini la mineralizzazione delle ossa torna normale e le deformità si risolvono gradualmente con la crescita.
Le situazioni più delicate si verificano quando la diagnosi arriva tardi o quando alla base c’è una malattia cronica: in questi casi alcune deformità possono persistere e richiedere un follow-up più lungo.
Intervenire precocemente, invece, permette di evitare complicazioni e garantire al bambino uno sviluppo osseo adeguato.

Pediatra, nel 2024 ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Immunologia, Medicina Molecolare e Biotecnologie Applicate presso l’Università di Roma Tor Vergata. Attualmente lavora come Clinical Research Fellow presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dove svolge attività clinica presso il Dipartimento di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico e attività di ricerca presso i laboratori dell’Unità di Terapia Cellulare e Genica delle Malattie Ematologiche.
Chanchlani R. et al., “An Overview of Rickets in Children”, Kidney International Reports, vol. V, 2020, pp. 980–990.
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, “Rachitismo”, OspedaleBambinoGesù.it, giugno 2021.
Cleveland Clinic, “Rickets”, ClevelandClinic.org, 2025.
Mayo Clinic, “Rickets”, MayoClinic.org, 2025.