Bocciato l’80% degli spot alimentari rivolti ai bambini

Le pubblicità trasmesse nel corso dei programmi per bambini forniscono un modello alimentare sbagliato: lo sottolinea un recente studio. Che cosa fare?

Immagine per l'autore: Anna Rita Longo
Anna Rita Longo , divulgatrice scientifica
Bambini per terra che mangiano popcorn guardando la tv

L’educazione di bambine e bambini a un’alimentazione sana e bilanciata è messa in pericolo dai programmi televisivi pensati per loro. Sono queste le conclusioni di uno studio [1] recentemente pubblicato dall’Istituto Mario Negri e dall’Italian Institute for Planetary Health, autorevoli società scientifiche che si occupano di ricerca nei diversi campi della salute pubblica e nelle varie fasce d’età, ambedue con sede a Milano. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Public Health Nutrition e mette in luce una realtà preoccupante circa i messaggi pubblicitari cui sono esposti i più piccoli.

La ricerca

Lo studio è stato condotto attraverso la registrazione, eseguita tra ottobre 2016 e gennaio 2017, di 180 ore di programmi televisivi diffusi sulle reti TV italiane più seguite, contenenti quasi 4000 pubblicità, di cui 810 trasmesse nel corso dei programmi direttamente pensati per bambine e bambini. Dopo aver selezionato gli spot relativi ad alimenti e bevande, si è avuto modo di evidenziare una situazione decisamente problematica. 

Prima di vedere i dettagli, va ricordato che, essendo nota la grande suscettibilità dei più piccoli alle sollecitazioni della pubblicità e, in particolar modo, l’effetto negativo della pubblicità sui comportamenti alimentari, negli ultimi anni sono state emanate delle linee guida relative agli spot pubblicitari per evitare che questi possano interferire con l’acquisizione di corrette abitudini alimentari; in particolar modo lo European Nutrient Profile Model (WHO-ENPM), indipendente e promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e le linee guida EU Pledge Nutrition Criteria (EU-PNC), stipulate da aziende leader nel settore alimentare per darsi un’autoregolamentazione.

I risultati

Dallo studio è emerso come l’80% degli spot non rispetti le prime linee guida e oltre il 50% le seconde. Un altro dato rilevante è che questa mancanza di aderenza alle linee guida risulta più significativa per le pubblicità trasmesse nel corso dei cartoni animati e, quindi, rivolte proprio a un pubblico infantile, che si trova, pertanto, esposto a spot che veicolano messaggi in contrasto con le regole di una sana e corretta alimentazione. 

Lo studio si aggiunge a una serie di ricerche, condotte nel resto delle nazioni dell’Unione Europea, che hanno messo in luce le discrepanze tra pubblicità alimentari e linee guida. Come ci ha detto Silvano Gallus, primo autore dello studio e direttore del Laboratorio di Epidemiologia degli Stili di Vita presso l’Istituto Mario Negri: «Le pubblicità di alimenti non salutari e non essenziali durante i programmi televisivi per bambini aumentano il rischio di una dieta scorretta e quindi di obesità infantile, con possibili conseguenze sfavorevoli sulla salute anche in età adulta. I bambini sono particolarmente vulnerabili alle pubblicità, in quanto non possono cogliere l’intento persuasivo del marketing, non avendo ancora sviluppato il pensiero critico. Dobbiamo pertanto fare in modo che siano protetti da messaggi che hanno fini commerciali ma non salutari».

Che cosa fare?

Una riflessione sullo studio che abbiamo illustrato dovrebbe, quindi, suggerire una volta di più l’opportunità di vigilare attentamente sugli stimoli ai quali i piccoli sono esposti e, in particolar modo, non dare per scontato che i programmi a loro destinati siano totalmente esenti da pericoli: evidentemente le autorità preposte al controllo della pubblicità non hanno ancora messo in atto provvedimenti efficaci a tutela di bambine e bambini. In generale, lasciare i piccoli da soli davanti al televisore – ma anche di fronte alle diverse piattaforme video, visto che spesso queste ospitano versioni più brevi degli stessi spot trasmessi in TV o pubblicità molto simili – non è certamente una buona idea.

Oggi nelle scuole sono molto comuni i progetti di educazione alimentare e si tratta di iniziative che certamente favoriscono l’interiorizzazione di comportamenti salutari, ma sono soprattutto le abitudini acquisite in famiglia ad avere un’importanza centrale, contribuendo a plasmare preferenze e gusti per tutta la vita.

Preparare tutti insieme i cibi da portare in tavola, facendo in modo che i piccoli, con la supervisione degli adulti, acquistino gradualmente familiarità con consistenze, aspetto, colori e sapori dei diversi alimenti, apprezzandone la trasformazione nelle varie ricette; oppure insegnare a bambine e bambini a servirsi da soli porzioni di diversi alimenti per vincere la paura dei nuovi sapori e sviluppare, nel tempo, la propria autonomia, possono essere alcune delle strategie.

Senza dimenticare, ovviamente, l’importanza del buon esempio, dal momento che i bambini apprendono innanzitutto a partire dall’imitazione, ed evitando colpevolizzazione e stress, per non trasformare il momento del pasto, che dovrebbe essere caratterizzato dalla gioia della condivisione, in una fonte di ansia per i piccoli e i loro genitori.

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Anna Rita Longo

Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.

Note
[1] Silvano Gallus et al., Food advertising during children’s television programmes in Italy, Public Health Nutrition, 1-8, 2020
Bibliografia
Articolo pubblicato il 20/01/2021 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura LittleBee80 / iStock

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