Questo articolo è un estratto dal capitolo «Perché fa i capricci?» di Non chiamatelo svezzamento, il manuale illustrato nel quale abbiamo raccolto le informazioni utili da avere per iniziare l’introduzione dei cibi solidi senza drammi. Nel libro non si parla solo di svezzamento, ma di come creare un sano rapporto con il cibo anche più in là nel percorso di crescita del bambino.
Lucio è un bambino di 4 anni, in salute, molto attivo e vivace. Sua madre, prima di portarlo nel mio studio per il bilancio di salute, mi anticipa che Lucio sta attraversando una fase di inappetenza che si protrae più a lungo del solito. Quando i genitori vogliono discutere di “problemi comportamentali”, fisso con loro un colloquio in cui non sarà presente il bambino, perché i bambini, anche se piccoli, sono molto attenti ai discorsi degli adulti, soprattutto se li riguardano. Al controllo in ambulatorio, intanto, non emergono sintomi sospetti di malattie né problemi riguardanti la crescita.
Dopo qualche giorno ci ritroviamo con i suoi genitori per affrontare il problema dell’“inappetenza”. Durante il colloquio emerge che la loro preoccupazione derivava dal periodo insolitamente lungo della diminuzione dell’appetito. I genitori di Lucio mi raccontano di non aver modificato in alcun modo il proprio modo di porsi e alla fine sono giunti alla conclusione che alcuni eventi importanti avvenuti negli ultimi mesi nella vita di Lucio (il cambio di domicilio, la stanza nuova con il letto a castello, la nuova scuola e la scoperta di tanti nuovi amici) potevano essere considerati possibili fattori “distraenti” che avevano influito sul comportamento alimentare del bambino, e in effetti, dopo quasi un mese dal nostro incontro, mi hanno confermato con entusiasmo che Lucio era tornato a mostrare interesse durante i pasti e ad alimentarsi regolarmente.
Cosa sarebbe accaduto se i genitori di Lucio si fossero comportati diversamente? Se non avessero avuto un atteggiamento responsivo, ma, al contrario, intrusivo?
Come ci ha insegnato il grande pediatra T. Berry Brazelton, lo sviluppo psicomotorio dei bambini non segue una linea regolare, ma procede a scatti, con pause, passi in avanti e, di norma, anche indietro. Questo andamento “a scatti” si accompagna di solito a momenti di crisi («Da un po’ ha cominciato a strillare e a essere più lagnoso») o anche a regressioni nel comportamento («Ha ricominciato a svegliarsi la notte»; «non mangia più come prima»; «fa storie per andare all’asilo»). I genitori dovrebbero essere consapevoli che si tratta di periodi fisiologici nella crescita dei bambini, molto spesso causati da picchi di eccitazione per le nuove esperienze e le grandi scoperte che avvengono. Molte delle cosiddette regressioni sono in realtà la ricerca di un equilibrio più adatto a un nuovo momento della vita in cui si affacciano nuove competenze e, di conseguenza, nuovi interessi.
Mattia ha quasi 3 anni e la sua famiglia si è da poco trasferita nella nuova città; quando li conosco di persona e osservo per la prima volta il comportamento del bambino, mi è da subito chiaro che l’interesse dei genitori ruota principalmente attorno all’alimentazione: «Dottore, abbiamo un grande problema, Mattia fa i capricci per mangiare», mi raccontano. «Intorno ai 7 mesi era solito assaggiare di tutto, con un buon appetito. Noi eravamo molto contenti, ogni suo boccone era seguito da grandi applausi e sorrisi smaglianti». Come spesso accade, superato il primo compleanno le cose sono cambiate: Mattia appariva svogliato a tavola e voleva scendere dal seggiolone dopo pochi minuti.
I suoi genitori all’inizio si sono dimostrati accondiscendenti, ma con il passare dei giorni la preoccupazione ha preso il sopravvento e li ha spinti a cercare di convincere in qualsiasi modo il bambino a mangiare ciò che aveva nel piatto, passando dai rimproveri all’uso del tablet per distrarlo, fino ad arrivare alle promesse e alle ricompense per ottenere che mangiasse fino all’ultimo boccone. Le cose, tuttavia, non solo non miglioravano, ma sembravano addirittura peggiorare.
La storia di Mattia è esemplificativa: dimostra come i comportamenti intrusivi degli adulti che interagiscono con i bambini a tavola possano condizionare e alterare l’approccio naturale e spontaneo nei confronti del cibo. Mangiare è un comportamento del tutto naturale: ogni bambino mangia quando ha fame, se trova del cibo a sua disposizione. L’appetito è regolato da stimoli sensoriali e modulato da diversi ormoni, non c’è quindi alcuna ragione, in un bambino sano, di intervenire per “aggiustare” un meccanismo perfetto.
Tutti i tentativi messi in campo dai genitori di Mattia hanno provocato un cambiamento di prospettiva, in cui l’atto del mangiare è diventato un fatto esclusivamente relazionale tra il bambino e l’adulto. La relazione tra Mattia e i suoi genitori è stata certamente “disturbata” dall’interferenza nel comportamento spontaneo, innato, del bambino, alterandone il significato: se nei primi mesi di vita, infatti, il piccolo aveva sperimentato con piacere che poteva mangiare liberamente quando aveva fame, ora si trovava in una situazione del tutto nuova, in cui la dimensione del cibo e del nutrimento aveva lo scopo di compiacere i genitori, oppure quello di ottenere un premio (ad esempio la visione del cartone animato preferito durante i pasti).
Come si affronta una situazione simile? Interrompendo il circolo vizioso di una routine ormai diventata stressante e poco efficace per tutti, cercando di ricreare un ambiente sereno a tavola, evitando di dare troppo peso alle quantità e non cadendo nella tentazione di fare apprezzamenti o di rimproverare se le cose non vanno come sperato.
Imporre un alimento e assumere una certa quantità di cibo non è un buon metodo per restituire serenità e far ritrovare a un bambino il piacere di mangiare. Il rifiuto, infatti, è la conseguenza di un atteggiamento intrusivo dei genitori e rappresenta, dunque, l’espressione più chiara della mancanza di responsività che dovrebbe essere, viceversa, l’unico modello educativo per un sereno approccio all’alimentazione, e non solo.
Per convincere i bambini a mangiare qualcosa che non vogliono, oppure a terminare quanto hanno lasciato nel piatto, i genitori ricorrono a diversi espedienti, tra i quali – ed è uno dei più gettonati – c’è sicuramente la ricompensa: può trattarsi di una caramella, come facevano i genitori di Mattia, o della promessa di comprare un giocattolo, o di andare al parco, e così via.
Numerosi studi hanno messo in luce che questa pratica non funziona alla lunga, e che, anzi, è controproducente sia dal punto educativo che relazionale. Lo stesso discorso si può fare per le punizioni, che funzionano ancora meno delle ricompense, e producono effetti nefasti dal punto di vista del messaggio educativo trasmesso, soprattutto se contemplano la violenza, fisica o verbale.
Questo articolo è un estratto dal capitolo «Perché fa i capricci?» di Non chiamatelo svezzamento, il manuale illustrato nel quale abbiamo raccolto le informazioni utili da avere per iniziare l’introduzione dei cibi solidi senza drammi. Ma nel libro non si parla solo di svezzamento, ma di come creare un sano rapporto con il cibo anche più in là nel percorso di crescita del bambino.
pediatra, è responsabile del gruppo nutrizione dell’Associazione Culturale Pediatri e fondatore dei “No Grazie”. È tutor e valutatore per l’iniziativa “Insieme per l’allattamento” dell’UNICEF. È stato direttore di Uppa magazine tra il 2016 e il 2021, è autore di oltre duecento pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali e membro del comitato editoriale di «Quaderni ACP».