La mia vita da zucchina

Un progetto ambizioso che affida all'animazione la narrazione di argomenti difficili, ma proprio per questo apprezzabile

Icaro è chiamato Zucchina da sua madre. Una mamma molto particolare, però, che lascia lattine di birra dappertutto, si addormenta ubriaca davanti al televisore e che, nella sua depressione, si dimentica del figlio rinchiuso tutto il giorno in soffitta. Zucchina invece disegna sempre, ovunque, anche sui muri, fa volare il suo aquilone verso il cielo ed è terrorizzato dalle urla che arrivano dal piano di sotto. Fino a quando arriva l’irreparabile e il bambino dagli occhioni vitrei si ritrova in un orfanotrofio. Lì inizia una nuova vita, fatta di atti di bullismo, di pacificazioni, di scoperte da adulti, di sentimenti mai provati e di ulteriori sconfitte. Nel mezzo un’infanzia turbata, un’adolescenza in arrivo senza reti di protezione ma, fortunatamente, con qualche via di uscita.

Questo il quadro sintetico apparso all’anteprima del film francese La mia vita da zucchina di Claude Barras, nelle sale italiane dal 2 dicembre 2016.

Temi duri trattati con delicatezza

Ma la vera sorpresa non sta tanto nei temi, quanto nei mezzi (o media, come direbbero gli esperti in comunicazione) attraverso i quali vengono trattati: il film è realizzato con pupazzi alti circa 25 cm, costruiti artigianalmente con materiali diversi (schiuma di lattice, resina, tessuti) e fatti muovere con la tecnica dello stop-motion, tante foto messe insieme passo dopo passo, la stessa del Piccolo Principe, per intenderci.

Così appena inizi a vedere il film ti aspetti un “cartone” per piccoli, mentre piano piano si dipanano scenari tristemente contemporanei, con altrettanti riferimenti a fatti di cronaca. Progetto ambizioso quello di affidare all’animazione la narrazione di argomenti così duri, ma forse proprio per questo apprezzabile.

Con degli attori il film avrebbe avuto lo stesso risultato? Sicuramente avremmo pianto di più, lo stomaco ci avrebbe dato più pugni e l’avremmo paragonato ai tanti film difficili del tipo La classe (di Laurent Cantet, Palma d’oro a Cannes nel 2008) o Monsieur Lazhar (del canadese Philippe Falardeau). Questa originalità rende il lungometraggio di 66 minuti emozionante e pieno di spunti, per affrontare con i figli che si affacciano all’adolescenza temi tradizionalmente ostici, come l’abbandono di minori, la violenza sessuale o il lutto.

La pellicola, presentata al festival di Cannes, è stata premiata dal pubblico del festival dei film di animazione di Annecy come miglior lungometraggio dell’anno.

La mia vita da zucchina è tratto dal romanzo omonimo scritto da Gilles Paris, venduto in duecentomila copie in Francia, e edito in Italia da Piemme. Per poter scrivere il suo romanzo, l’autore ha voluto frequentare per mesi una casa di accoglienza per bambini difficili e ne ha tratto pagine intense di vita.

Il film è disponibile anche per proiezioni scolastiche, matinée nei cinema con biglietto ridotto. Qui è possibile scaricare la brochure didattica.

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Immagine per l'autore: Anna Rita Marchetti
Anna Rita Marchetti

giornalista pubblicista, ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di sociologia dell’Università Sapienza di Roma, il Centre national de la recherche scientifique di Parigi e l’AGCOM. Libraia specializzata nell’editoria per l’infanzia, lettrice professionista e coordinatrice didattica di laboratori d’arte ed espressivi. Attualmente ricopre il ruolo di redattrice presso la redazione di Uppa.

Articolo pubblicato il 30/11/2016 e aggiornato il 22/09/2022

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