Mal di pancia, feci frequenti e maleodoranti, nausea e brividi: quando si manifesta la diarrea, a volte si sta davvero male e si cerca a ogni costo il farmaco miracoloso. Eppure, poiché nella stragrande maggioranza dei casi a provocare la diarrea sono virus o batteri la cui unica azione si limita a questi sintomi, nei bambini non c’è bisogno quasi mai di farmaci, soprattutto non di antibiotici o disinfettanti intestinali (in alcuni casi la diarrea può essere sintomo di ossiuriasi, ne parliamo in questo articolo).
Ciò non significa che non sia necessario avere le idee ben chiare su come debba essere trattata la diarrea, soprattutto nei bambini piccoli, perché c’è il rischio di farsi prendere dal panico e correre in ospedale quando non ce n’è bisogno o, ancora peggio, rivolgersi a consulenze improvvisate e non professionali.
Se il bambino inizia ad avere feci liquide e frequenti, i genitori devono prestare attenzione solamente a un aspetto, la disidratazione, cioè la perdita eccessiva di liquidi causata dalle scariche frequenti. Per evitare la disidratazione l’unico trattamento consigliato è la reidratazione per bocca, fornendo al bambino la quantità di liquidi e sali perduti oltre a quelli di cui necessita normalmente. La reidratazione avviene attraverso le soluzioni glucosaline orali (SGO), reperibili in ogni farmacia.
Svariati studi clinici hanno confermato che le SGO sono più rapide nel correggere gli squilibri elettrolitici rispetto alla terapia endovenosa e sono più sicure, poiché hanno un grado di fallimento molto basso (stimato nel 3-4%). Tutti gli altri farmaci prescritti per la diarrea non hanno alcuna reale utilità.
I genitori dovrebbero assistere con calma il bambino, dandogli di continuo le SGO: un cucchiaino ogni due minuti, se è presente anche il vomito, oppure a piccoli sorsi (più se ne beve, meglio è). Poiché il sapore delle SGO può risultare sgradevole, possono essere somministrate a una temperatura più bassa di quella ambientale (mettendole in frigorifero), oppure aggiungendo del succo d’arancia (non zuccherato).
A 4-6 ore dalla comparsa della diarrea il bambino può riprendere la normale alimentazione, sempre che mostri interesse verso il cibo. L’allattamento al seno non deve mai essere interrotto; al contrario, se il bambino richiede brevi e frequenti suzioni al seno, si può fare a meno delle SGO. Quando persistono 3-4 scariche liquide al giorno per oltre due settimane, si parla di “diarrea cronica”, una condizione che deve essere valutata dal pediatra, soprattutto se il bambino tende a perdere peso.
Ci sono alcuni segnali di allarme da monitorare in caso di diarrea:
Il 15-20% degli adulti soffre, quotidianamente o saltuariamente, di stipsi, cioè ha difficoltà nell’evacuazione di feci dure. Questo problema riguarda un bambino su otto e, se non viene affrontato e risolto, probabilmente si protrarrà anche nell’età adulta. Per questi motivi è bene non sottovalutare la stipsi e affrontarla serenamente con il proprio pediatra.
Se si tratta di un lattante che poppa al seno, l’evacuazione di feci liquide ogni 3-5 giorni non è indicativa di un problema di stitichezza.
La stipsi più frequente nel bambino è quella funzionale, definita per la presenza di almeno due dei seguenti segnali nei due mesi precedenti: meno di tre scariche a settimana, più di un episodio a settimana di feci liquide che bagnano le mutande, feci abbondanti e dure presenti nell’addome, passaggio di feci che ostruiscono il water, tendenza a trattenere le feci, evacuazione di feci dure e/o dolorose.
La Scala di Bristol può aiutare a classificare il tipo di feci in base al loro aspetto. Bisogna comunque tenere presente che spesso la stipsi si accompagna ad altri sintomi come irritabilità, scarso appetito o senso di sazietà precoce, che magicamente spariscono dopo l’evacuazione.
La stipsi è un problema risolvibile, ma per farlo servono determinazione, costanza e aderenza alla terapia. Il trattamento si basa sull’uso del polietilenglicole (PEG), anche per periodi lunghi (a seconda delle indicazioni del pediatra), sull’aumento dell’apporto di acqua e fibre nell’alimentazione (presenti in alcuni tipi frutta – come kiwi, pere e prugne –, nella verdura, nei legumi, nel pane e nella pasta integrale) e sul toilet training.
La Scala delle feci di Bristol (Bristol Stool Chart) è uno strumento diagnostico utile per classificare in categorie la forma e la consistenza delle feci umane e per comprendere il funzionamento del nostro colon, cioè la parte terminale dell’intestino tenue. Il tipo di feci prodotto, infatti, ha una buona correlazione con il tempo di permanenza nel colon: più le feci sono dure, più la loro permanenza nel colon si è protratta, e di conseguenza aumenta il rischio di evacuazioni difficili e di stitichezza.
I sette tipi di feci previste dalla Scala delle feci di Bristol sono:
I tipi 1 e 2 sono espressione di stipsi; i tipi 3 e 4 rappresentano la forma/consistenza ideale, in particolare il tipo 4, perché le feci possono essere facilmente espulse. I tipi 5 e 6 sono progressivamente tendenti alla diarrea, che è manifesta nel tipo 7.
Questa espressione, spesso poco nota, indica il processo educativo tramite cui si insegna ai bambini a usare il water (ne abbiamo parlato anche qui). Possiamo trarne due indicazioni importanti:
nato a Roma, dove si specializza in Pediatria e frequenta il dottorato di ricerca. È membro dell’Associazione Culturale Pediatri e del gruppo Pediatri per Un Mondo Possibile. È coautore dei libri "Il bambino disattento e iperattivo" (Franco Angeli) e "Mangiare per crescere. Consigli per genitori in gamba" (Il Pensiero Scientifico).