Displasia evolutiva dell’anca e prevenzione

Sulla prevenzione della displasia evolutiva dell’anca, malformazione congenita di tipo ortopedico più frequente, la comunità scientifica si divide.

Immagine per l'autore: Marina Macchiaiolo
Marina Macchiaiolo , pediatra

La displasia evolutiva dell’anca è la malformazione congenita di tipo ortopedico più frequente. L’anca è la più importante delle articolazioni del nostro scheletro: il femore (un osso lungo e robusto che regge tutto il peso del corpo) si articola con il bacino mediante una testa, che è normalmente contenuta in una cavità ossea chiamata “acetabolo”, ed è tenuta ferma grazie a dei tendini e una capsula. Con questa articolazione la gamba può compiere i movimenti necessari per camminare, rimanendo però molto stabile. Quasi sempre tutto questo funziona alla perfezione, ma a volte ci possono essere dei piccoli difetti anatomici per cui la testa del femore e l’acetabolo non sono allineati adeguatamente o crescono in modo anomalo.

Ognuno dei tre elementi fondamentali di questo sistema, la “testa del femore”, la cavità ossea dell’anca e l’insieme capsula-legamenti, può avere dei difetti per i quali il sistema articolare diventa non contenitivo. Possono perciò manifestarsi problemi con diverso grado di gravità, dalla semplice displasia a una vera e propria lussazione, alla perdita cioè dei rapporti articolari. Quest’ultima è la forma più grave, oltre che la più rara, e può causare difficoltà nella deambulazione, zoppia e dolore cronico. Questa malattia è chiamata evolutiva o congenita, perché il difetto è presente già alla nascita, ma può evolvere nel tempo; la gravità della malformazione può però essere contenuta grazie a delle terapie precoci (anche “portare” il bambino attraverso fasce e altri supporti specifici può essere d’ausilio, ne parliamo in questo articolo).

Meglio pensarci subito

Durante le prime visite di un neonato il pediatra effettua delle manovre attraverso la quali cerca di verificare la stabilità dell’anca. Si chiamano manovre di Ortolani e Barlow e consistono nel tentare di provocare delicatamente una lussazione e/o una riduzione dell’articolazione. Se l’articolazione è sana non si riuscirà a spostare la testa del femore dalla sua normale posizione, se invece è instabile o addirittura già lussata, con queste manovre è possibile scoprirlo.

In caso di dubbio l’ecografia alle anche rappresenta l’esame strumentale di prima scelta per la diagnosi. L’ecografia permette di stabilire la gravità della lussazione che viene classificata secondo i cosiddetti criteri di Graf in quattro stadi contraddistinti da numeri e lettere. Semplificando, nel primo dei quattro stadi (divisi a loro volta in sottoclassi) l’anca è considerata matura, nel secondo stadio in via di maturazione, da quello successivo in poi l’anca presenta problemi di ordine crescente. Anche negli stadi avanzati, tuttavia, un precoce intervento può essere risolutivo.

Cosa fare in caso di displasia evolutiva dell’anca?

Si discute da anni su quale dovrebbe essere il sistema più efficace per fare la diagnosi al momento giusto, cioè in tempo per impedire che questa anomalia si strutturi e impedisca al bambino di camminare bene. Le manovre descritte precedentemente dovrebbero essere effettuate e ripetute durante le visite nei primi mesi di vita, ma come spesso capita in medicina, le cose non sono così semplici: infatti, se chiediamo a diversi medici di visitare lo stesso bambino, effettuando queste manovre, non si avrà sempre lo stesso risultato.

Per eseguire queste manovre è necessaria una certa abilità, inoltre anche in caso di perfetta abilità, con questo sistema, non si riesce a identificare sempre il problema e, poiché l’ecografia è una metodica non invasiva e di facile accesso, è stato proposto di effettuarla come esame di screening a tutti i neonati. Tuttavia le opinioni a tal proposito non sono concordanti e ad oggi non è stato stabilito se effettuare l’ecografia come screening universale sia un sistema efficace oppure no.

Perché tanti dubbi

L’80% delle anche instabili (le cosiddette immature) identificate alla nascita si risolvono in modo positivo anche senza trattamento e quindi non sarebbe neppure necessario identificarle; però una volta che le abbiamo identificate, non si può fare a meno di effettuare altri controlli più o meno ravvicinati per verificarne l’evoluzione. E così si cade in un eccesso di diagnosi, che ha talvolta come conseguenza… un eccesso di trattamento.

I costi per questo tipo di screening diventano quindi molto elevati per il sistema sanitario, inoltre anche i costi emotivi e di preoccupazione sopportati dai genitori possono essere importanti se non ben gestiti. Forse un equilibrio si potrebbe trovare: basterebbe considerare attentamente i fattori di rischio, che sono ben noti, anche se la causa esatta di questa anomalia non è stata identificata: rischiano di più le femmine dei maschi, chi ha dei familiari affetti e chi era in posizione anomala in utero (ad esempio i podalici). In conclusione non esiste una risposta univoca per consigliare o meno l’esecuzione a tappeto dell’ecografia delle anche a tutti i neonati, ma, nel particolare, il pediatra di fiducia che conosce il bambino e la famiglia potrà consigliare in modo specifico ogni volta la soluzione più adeguata al singolo caso.

Piccolo glossario

  • Acetabolo: la cavità dell’osso del bacino in cui si muove la testa del femore; fa parte dell’articolazione dell’anca
  • articolazione: quelle parti delle ossa che, rivestite di una membrana lucida e scorrevole, consentono alle ossa stesse di restare saldamente ancorate l’una all’altra, e contemporaneamente di muoversi
  • capsula articolare: è robusta ed elastica, è fissata saldamente alle ossa da cui è formata l’articolazione e le tiene insieme consentendo però i movimenti
  • displasia: la conformazione anatomica e funzionale dell’articolazione non è normale
  • lussazione: la testa del femore sfugge dalla capsula dell’articolazione e perde il contatto con l’acetabolo; l’articolazione “scrocca”
  • testa del femore: una specie di sfera che si inserisce nell’acetabolo, all’interno del quale si muove.
Immagine per l'autore: Marina Macchiaiolo
Marina Macchiaiolo

Dopo la laurea in Medicina e chirurgia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, consegue il diploma di specializzazione in Pediatria presso la stessa Università. Ricopre l’incarico libero professionale presso il DEA dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, successivamente diventa dirigente medico di 1° livello presso la UOC di Pediatria generale dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Dal gennaio 2011 ricopre lo stesso incarico presso la UOC di Malattie rare dello stesso ospedale.

Articolo pubblicato il 24/06/2013 e aggiornato il 22/09/2022

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