Adolescenza e percezione del tempo

Bambini e giovani hanno una percezione differente del tempo, legata alla costruzione della propria identità: i genitori hanno un ruolo centrale nell’aiutarli in questo percorso

Valentina Alice Tomaselli , psicoterapeuta dell'età evolutiva
Bambino che si tiene in equilibrio su un tronco

«Questa estate non voglio fare niente. Voglio solo chiudermi nella mia stanza e riposare. Non voglio pensare a niente». Questa la frase di una adolescente di 17 anni nell’ambito delle sue riflessioni sull’estate che si sta avvicinando.

Questo esempio ci consente di riflettere su come il tempo nell’adolescenza possa essere vissuto non solo come portatore di aspettative e vitalità, ma anche come un’interruzione, un bisogno di fermarsi, attendere, bisogno da cui partire per la costruzione del proprio sé.

La costruzione dell’identità

L’adolescenza è una fase evolutiva in cui, insieme alle modifiche corporee, cognitive, emotive, si ristruttura il macrosistema spazio-temporale di riferimento. In altri termini, se il bambino vive immerso nel presente, per il giovane il tempo del futuro assume nuove sfumature e risvolti: il tempo viene caricato di significato, così come di angosce e speranze.

Per lo psicanalista infantile Erik Erikson, lo sviluppo nell’età adolescenziale ha come obiettivo la costruzione dell’identità personale, e ciò si verifica anche grazie a un nuovo rapporto con il tempo, nel quale si uniscono il senso di appartenenza al passato con il movimento verso il futuro e la “futuribilità”. Quest’ultima va intesa come emozione di speranza, motivazione e ricerca verso il nuovo e il possibile. Però, affinché questo accada, è importante che dall’esterno venga riconosciuta al ragazzo la possibilità di una “moratoria psicosociale”, cioè deve essere esonerato da obblighi e responsabilità adulte, così che possa avere il tempo per vivere e risolvere la propria personale crisi di sviluppo. Se il processo va a buon fine, il giovane riuscirà a integrare tutte le precedenti identificazioni che ha vissuto nell’infanzia all’interno di una nuova configurazione adolescenziale, in cui ci sarà spazio per un nuovo corpo e per nuovi bisogni.

Cosa succede se qualcosa non funziona?

In certi casi i ragazzi bloccano il loro processo di sviluppo e possono reagire in modi differenti a questa fase di crescita ed evoluzione dell’identità:

  • da un lato ci può essere una risposta di ritiro regressivo. Cosa significa? Il ragazzo rifiuta le novità, non cerca nuovi spazi di autonomia e si limita a una quotidianità fatta di scuola e casa, manifestando scarso interesse per le interazioni con gli altri ragazzi. Può ad esempio “buttarsi sul cibo” per sfogare la propria frustrazione, o dimostrare un’eccessiva attenzione verso la sfera dell’alimentazione – un ambito primordiale di soddisfazione dei bisogni – così da mantenere l’illusione di avere tutto sotto controllo. Anche i casi di “ritiro sociale” e le nuove forme di Internet addiction (dipendenza da Internet) sono segnali di una chiusura di fronte al tempo della trasformazione e della crescita
  • all’opposto, il ragazzo può anche manifestare dei comportamenti a rischio. Con questo non si fa riferimento alla “prova” di fumare una sigaretta o bere una birra, cose che rientrano nelle normali sperimentazioni dell’adolescenza, ma, ad esempio, a comportamenti sessuali precoci e promiscui, oppure ad azioni di bullismo o atteggiamenti particolarmente provocatori, che mettono a rischio sé e gli altri. In casi simili il rapporto con il tempo è ribaltato: tutto viene vissuto “fino all’ultima goccia”, tutto corre e deve essere rincorso. Il tempo diventa qualcosa che perseguita e opprime il giovane, e non gli resta che correre contro il tempo, contro le responsabilità, contro quell’essere adulto che richiede compromessi tra sé stessi e gli altri.

Come devono porsi i genitori?

La famiglia ha il compito di accogliere le difficoltà dell’adolescente, di proteggerlo e guidarlo, ma soprattutto il ruolo primario dei genitori è quello di “stare”, al di là dei cambiamenti di umore, delle provocazioni, degli attacchi alle regole che i figli mettono in atto quotidianamente. Lo stare al proprio posto, non rinunciare, soffrire per i “no” dati ma riuscire a mantenerli, rendersi disponibili ad accogliere gli sfoghi, rispettando anche l’esigenza di solitudine del figlio: si tratta di compiti difficili, oggi ancora più complessi a causa delle diverse sfide che le famiglie devono affrontare.

È necessario, sia per i genitori sia per i figli, un nuovo lavoro sulla temporalità (che riguarda ciò che è temporale, in opposizione a ciò che è spirituale): lasciar andare via i bambini del passato, conservando l’affetto del ricordo, è un passo difficile. La paura che i figli possano commettere degli sbagli o possano essere feriti dagli altri blocca a volte gli adulti sulla soglia dell’infanzia. In questi casi il figlio è sempre troppo piccolo per uscire da solo, troppo piccolo per decidere lo sport che vuole fare, troppo piccolo per studiare senza un aiuto esterno. In tal modo l’adulto inconsapevolmente fa passare l’idea che crescere sia qualcosa di pericoloso e doloroso, e non aiuta l’adolescente ad affrontare con la giusta grinta le nuove sfide che la crescita gli mette davanti. Anche cadere nell’errore opposto di deresponsabilizzarsi è un rischio frequente. Alcuni genitori ritengono che il ragazzo sia ormai in grado di agire e decidere da solo, ma se si sottraggono alla loro funzione di guida e protezione mettono il giovane in uno stato di angoscia verso il tempo futuro, perché non gli si dà la possibilità di rifletterci insieme.

La posizione corretta corrisponde a un giusto ascolto e a una costante presenza nella vita dei ragazzi, che possono così fidarsi e affidarsi al genitore che viene visto come un riferimento autorevole, e non autoritario, sentendosi così liberi di sbagliare e dandosi tempo per fare ma anche per non fare.

Se pensiamo al tempo come a un fiume che scorre, dobbiamo immaginare che il ragazzo abbia la libertà di esplorare tutti i modi in cui il fiume può essere attraversato, immergendo piano piano i piedi nell’acqua gelata, mentre il genitore gli tiene la mano. Lì potrà fare un piacevole bagno, schizzarsi con gli amici e ogni tanto riposarsi sulla riva, mentre osserva il fiume. Il compito del genitore è di essere un buon guardiano di quel fiume che scorre, dove l’acqua non può essere fermata ma i pericoli e i tesori di quel passaggio possono essere guardati insieme.

Articolo pubblicato il 24/11/2017 e aggiornato il 06/10/2023
Immagine in apertura Imgorthand/Getty Images

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