Riapertura delle scuole: cosa dicono gli studi

Le evidenze scientifiche sembrano concordi nel segnalare il ruolo molto limitato dei bambini nella diffusione del contagio della COVID-19. Un’informazione di cui è importante tenere conto in vista della riapertura delle scuole

Immagine per l'autore: Sergio Conti Nibali
Sergio Conti Nibali , pediatra e consulente scientifico di Uppa
Bambina vista di schiena con lo zainetto sulle spalle

La sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado è stata tra i primi interventi adottati con il Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020 allo scopo di contenere e gestire l’emergenza da COVID-19. 

Tale decisione fu presa d’urgenza, per favorire un immediato distanziamento fisico tra le persone – indispensabile per contrastare la circolazione del virus SARS-CoV-2 – considerando come le attività scolastiche portino inevitabilmente a situazioni di prossimità e aggregazione. Venne anche valutato il notevole impatto della mobilità verso e dalla scuola sulla mobilità della popolazione generale. Al momento in cui fu emanato il decreto le informazioni che riguardavano la diffusione e la trasmissione del virus erano ancora poche e incerte, per cui la chiusura di tutte le attività didattiche era da considerare come una giusta precauzione, nonostante la mancanza di prove di efficacia dell’intervento. La decisione adottata dall’Italia, del resto, era in linea con le misure prese anche dalla maggior parte degli altri Paesi.

I bambini si ammalano di meno

Oggi le conoscenze sono aumentate e sappiamo meglio quali sono le modalità di contagio e di diffusione del virus; le nuove informazioni dovrebbero orientare le scelte che si prenderanno per il contenimento dell’epidemia. 

Cosa ci dicono i dati che riguardano i bambini e che provengono da Paesi molto diversi? Come prima cosa, è ormai certo che essi rappresentino una percentuale molto bassa dei casi documentati di COVID-19. Citiamo due studi, come esempio: i dati provenienti dalla città italiana di Vo, dove si è effettuato uno screening del 70% della popolazione, mostrano che nessun bambino di età inferiore a 10 anni è risultato positivo al tampone, nonostante un tasso positivo del 2,6% nella popolazione generale. Quasi contemporaneamente è stato pubblicato uno studio simile svolto in Islanda: anche in questo caso non sono state identificate persone COVID-positive di età inferiore ai 10 anni. [1] Questi studi confermano quindi la “riluttanza” dei bambini a infettarsi. Nella stessa direzione vanno i risultati presentati in una Research letter pubblicata su JAMA: gli autori del lavoro concludono che i bambini, oltre ad ammalarsi di meno, si infetterebbero anche di meno e sarebbero meno contagiosi. [2]

Il ruolo dei bambini nella trasmissione del contagio

La ricerca, adesso, si sta concentrando quindi sul ruolo che i bambini assumono nella trasmissione della malattia. In questo caso i dati non sono conclusivi, ma sembrano comunque suggerire in maniera evidente che il ruolo dei più piccoli è decisamente limitato. 

Una recente revisione sistematica della letteratura mostra che molto di rado il contagio parte dai bambini: gli autori ipotizzano che poiché essi, rispetto agli adulti, presentano meno sintomi da COVID-19 (come tosse e starnuti), anche la trasmissibilità dell’infezione sarebbe inferiore. Secondo gli autori è dunque improbabile che l’apertura delle scuole e degli asili porti a un incremento significativo della mortalità. 

Ad avvalorare questa ipotesi, uno studio condotto in Cina ha esaminato 4950 contatti stretti, analizzando le modalità di contatto e le caratteristiche cliniche delle persone coinvolte: arriva alla conclusione che esiste una forte associazione tra gravità della malattia e trasmissione del virus

Ormai abbiamo a disposizione anche molti studi sulla trasmissione familiare della malattia; alcuni dimostrerebbero che la possibilità di trasmissione dai bambini agli adulti è molto ridotta e che non esistono casi di trasmissione da bambino a bambino. Uno studio ha identificato 31 gruppi di trasmissione domestica in Cina, Singapore, Stati Uniti, Vietnam e Corea del Sud: solo in 3  famiglie (9,7%) il bambino era il “caso indice” (cioè il caso primario). In un altro studio che ha preso in esame 66 gruppi familiari non è stato trovato nessun gruppo in cui il “caso indice” fosse un bambino, e nell’analisi di 419 cluster domestici non si sono individuati casi di persone contagiate di età inferiore ai 15 anni. 

La COVID-19 sembra dunque comportarsi in maniera molto diversa da altri virus, se è vero che per quanto riguarda quello dell’influenza H5N1 abbiamo vari studi che mostrano come i bambini siano i primi diffusori dell’infezione in oltre il 50% dei casi. 

Chiudere le scuole è efficace?

In una metanalisi appena pubblicata e che ha incluso 16 studi condotti in Cina, Singapore, Taiwan, l’efficacia della chiusura delle scuole nel contenimento del contagio durante le epidemie pregresse da Coronavirus (SARS, MERS) e in quella attuale è risultata sostanzialmente irrilevante. Un modello matematico applicato al Regno Unito ha evidenziato una stima massima di riduzione della mortalità del 2-4%, molto inferiore rispetto a quella ottenuta con altre misure di distanziamento sociale. Taiwan è inoltre tra i primi Paesi a essere usciti dall’epidemia dopo aver applicato diverse misure di isolamento sociale, senza però ricorrere alla chiusura generalizzata delle scuole, ma limitandosi a una sospensione delle attività interclasse, di quelle facoltative e di quelle sportive. 

Sono ormai numerosi i report che descrivono una molto ridotta possibilità di trasmissione del virus tra bambini e da bambini a adulti: in Francia, un bambino di 9 anni che, con i sintomi di COVID-19, aveva frequentato 3 diverse scuole non ha contagiato nessuno dei suoi 112 contatti scolastici. Un altro studio realizzato in Australia ha descritto il caso di 9 studenti delle scuole primarie e superiori e di 9 insegnanti con infezione da COVID-19 che hanno avuto contatti con 735 studenti e 128 dipendenti: solo 2 bambini hanno contratto la malattia, e nessun insegnante. In Svezia, dove le scuole non sono state chiuse, non ci sono notizie di focolai di COVID-19 all’interno delle comunità scolastiche.

Tutti questi studi, le cui conclusioni vanno nella stessa direzione, supportano l’ipotesi che, anche se ci sono bambini asintomatici che frequentano le scuole, è improbabile che diffondano il contagio. Si tratta di osservazioni che mettono in seria discussione l’efficacia della chiusura degli istituti scolastici come misura per ridurre la mortalità dell’epidemia. 

Le misure da seguire

A questo punto appare indispensabile che le decisioni sulle future azioni da intraprendere per il contenimento della pandemia tengano conto di queste vaste e rassicuranti evidenze scientifiche, in particolare adesso che si discutono le modalità di riapertura della scuola. 

Alcune precauzioni, ovviamente, devono essere osservate: ad esempio lavarsi accuratamente le mani; vigilare affinché gli alunni con sintomi di malattia (febbre, raffreddore, tosse, vomito, diarrea…) non frequentino le lezioni; arieggiare frequentemente le aule e privilegiare la didattica all’aperto o in ambienti spaziosi, utilizzando anche nuove risorse in accordo con il territorio comunale (biblioteche, musei, parchi…). 

Al contempo, sarebbe importante rivedere alcune indicazioni recentemente fornite dal Comitato Tecnico Scientifico riguardo all’uso delle mascherine per i bambini della scuola primaria: tale misura, peraltro molto difficile da mettere in pratica in maniera corretta per tutte le ore di permanenza in classe, sembra sproporzionata rispetto alle evidenze scientifiche (ce ne parlano in modo più approfondito i pediatri dell’ACP in questo articolo). 

Le gravi conseguenze dell’interruzione scolastica

Allo stato attuale delle conoscenze, è dunque auspicabile che le scuole riaprano senza ulteriori ripensamenti. Non si possono ignorare, infatti, le evidenze che si stanno accumulando sui danni collaterali [3] provocati nei bambini dal lockdown e soprattutto dalla chiusura prolungata di servizi educativi e scuole. Oltre al ritardo didattico, sono emerse preoccupanti manifestazioni di disagio psicologico, derivanti dalla prolungata mancanza di occasioni educative e di tempi adeguati di socializzazione. 

È urgente far ripartire la scuola, se si vuole arginare una crisi educativa e sociale che rischia di avere pesanti conseguenze per tutti i bambini. La sospensione delle attività scolastiche e il successivo isolamento hanno determinato infatti una significativa alterazione della vita sociale e relazionale di bambini e ragazzi, determinando al contempo un’interruzione dei processi di crescita in autonomia e di acquisizione di competenze e conoscenze, con ricadute educative, psicologiche e di salute che non vanno sottovalutate. 

La scuola è il contesto in cui viene data la possibilità a ogni bambino di crescere e svilupparsi in modo ottimale. Nel nostro Paese, ancora oggi, si registrano profonde disuguaglianze sociali: dei 9.700.000 soggetti in età compresa tra 0 e 18 anni, 1.600.000 vivono in condizioni di povertà. Inoltre, circa 1.000.000 di individui in età evolutiva ha necessità assistenziali complesse; tra questi intorno al 20% presenta problemi neuropsichiatrici. La scuola, in tutti questi casi, costituisce un sostegno fondamentale, poiché non è soltanto un luogo di apprendimento, ma anche di protezione sociale, di promozione della salute e di supporto emotivo. 

Le chiusure scolastiche generalizzate come risposta alla pandemia hanno rappresentato un rischio senza precedenti per l’educazione, la protezione e il benessere dei bambini.

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Sergio Conti Nibali

pediatra, è responsabile del gruppo nutrizione dell’Associazione Culturale Pediatri e fondatore dei “No Grazie”. È tutor e valutatore per l’iniziativa “Insieme per l’allattamento” dell’UNICEF. È stato direttore di Uppa magazine tra il 2016 e il 2021, è autore di oltre duecento pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali e membro del comitato editoriale di «Quaderni ACP».

Note
[1] AA.VV. Spread of SARS-CoV-2 in the Icelandic Population «The New England Journal of Medicine», 14 aprile 2020
[2] Supinda Bunyavanich, Anh Do, Alfin Vicencio Nasal Gene Expression of Angiotensin-Converting Enzyme 2 in Children and Adults «JAMA network», 20 maggio 2020, vol. 323, n. 23
[3] Costantino Panza Pandemia COVID-19: gli effetti sulla salute causati dall’isolamento sociale «Qacp», 2020, vol. 27, n.2
Bibliografia
  • Jonas F Ludvigsson, Children are unlikely to be the main drivers of the COVID-19 pandemic – A systematic review, «Acta Paediatrica», 2020, vol. 109, n. 8, pp. 1525-1530
  • AA. VV., Modes of contact and risk of transmission in COVID-19 among close contacts, «medRxiv», 26 marzo 2020
  • Soo-Han Choi, Han Wool Kim, Ji-Man Kang, Dong Hyun Kim, Eun Young Cho, Epidemiology and clinical features of coronavirus disease 2019 in children, «Clinical and Experimental Pediatrics», 2020, vol. 63, n. 4, pp. 125‐132
Articolo pubblicato il 01/06/2020 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura Sasiistock / iStock

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