È un errore comune pensare che un bambino che abbia da poco imparato a camminare sia già in grado di farlo proprio come noi adulti. La conquista dell’autonomia nella deambulazione è una tappa certamente cruciale nella crescita motoria dei piccoli, ma la maniera in cui ciò avviene, per i primi due-tre anni di vita, vede l’alternanza di diverse fasi, nella maggior parte dei casi transitorie. Come ad esempio quella di camminare sulle punte (il cosiddetto toe walking), tendenza piuttosto frequente soprattutto nella fase iniziale della deambulazione autonoma. Ma se i genitori vedono il proprio bambino che cammina sulle punte e questa fase si prolunga nel tempo, dovrebbero preoccuparsi? Cerchiamo di capirlo in questo articolo.
«Perché il mio bambino cammina sulle punte?». Facciamo (è proprio il caso di dirlo) qualche passo indietro…
Occorre immaginare il piccolo alle prime armi con la deambulazione come un giovanissimo e acerbo atleta alla continua e incessante ricerca di migliorare le proprie prestazioni in termini di equilibrio e di schema motorio. È per questo che, proprio come un atleta che passa il tempo ad allenarsi, allargherà le gambe, quindi la sua base d’appoggio, per sentirsi più stabile, o magari alternerà passi molto rapidi a passi lenti. Un altro bambino, invece, potrebbe mantenere un incedere lento e barcollante a lungo, o piuttosto inciamperà spesso o porterà le punte dei piedi in dentro.
Tra le modalità transitorie di deambulazione nei primissimi anni di vita troviamo appunto anche l’azione di camminare sulle punte, probabilmente messa in atto dal bambino con lo scopo di spostare avanti il proprio baricentro e ottimizzare l’energia nei suoi primi passi.
Ogni modalità appena descritta, compresa quella di camminare sulle punte, è comunque da considerarsi fisiologica nelle prime fasi di autonomia motoria poiché, appunto, fa parte di quell’allenamento costante e progressivo che porterà lentamente il piccolo a migliorare il proprio equilibrio, la sicurezza nella deambulazione e la propria postura.
Camminare sulle punte, in particolare, è una modalità che riguarda un ampio numero di bambini anche più grandi (5%), tanto che questi si meritano l’appellativo di toe walker, ovvero coloro che deambulano in maniera prevalente, o persistente, sull’avampiede con entrambi gli arti inferiori.
L’andatura sulle punte, dunque, se presente nei bambini di età inferiore ai 3 anni e in assenza di ulteriori elementi clinici, non deve destare preoccupazione nei genitori.
Vediamo adesso alcuni consigli per il toe walking. È innanzitutto importante osservare il bambino durante tutte le fasi della sua giornata. Nella maggior parte dei casi l’azione di camminare sulle punte è, come detto, solo un’abitudine transitoria e il piccolo mostrerà di essere comunque in grado di deambulare appoggiando tutto il piede, se gli viene espressamente chiesto di farlo.
Non vanno messi in campo particolari “rimedi” se il bambino cammina sulle punte. In questi casi basterà invitarlo di frequente ad appoggiare tutto il piede al suolo creando magari dei giochi di stimolazione sensoriale plantare differente. Ad esempio: stimolarlo a camminare su tappeti di consistenza diversa, sull’erba, sulla sabbia, sui materassi, sui cuscini, eccetera. Ma più in generale sarà sufficiente lasciare che il “piccolo atleta” continui a sperimentare liberamente la propria deambulazione e anche le eventuali cadute, che rappresentano una parte fondamentale del suo sviluppo motorio complessivo.
La tendenza a camminare sulle punte sembra essere più frequente nei bimbi che hanno utilizzato il girello. Ciò è verosimilmente legato al fatto che l’utilizzo di questo strumento non consente una corretta acquisizione del controllo del proprio corpo in posizione eretta e piuttosto induce all’utilizzo della spinta sulle punte dei piedi per ottenere il movimento autonomo (ne parliamo in modo più approfondito in questo articolo). Questa è di certo una delle ragioni per cui ne andrebbe evitato l’utilizzo
Occorre preoccuparsi se il bambino cammina sulle punte a lungo? Se è vero che nei primissimi anni di vita questa tendenza è considerata transitoria e non allarmante, è però importante sottolineare che esistono delle condizioni all’interno delle quali va attenzionata (sarà il vostro pediatra a valutare la situazione e a indirizzare eventualmente a una visita specialistica).
In caso di sofferenza fetale o perinatale, ad esempio, o se è presente una conclamata storia familiare di malattie neurologiche di debolezza muscolare o nel sospetto di malattie del midollo spinale (spina bifida) verrà posta l’indicazione di una visita neurologica o neurochirurgica.
In caso di coesistenti disturbi comunicativi, deficit di apprendimento, disturbi severi del linguaggio, verrà presa in considerazione la possibilità di effettuare una visita neuropsichiatrica per valutare eventuali segni precoci di malattie della sfera psico-comportamentale, per cui l’andatura sull’avampiede può essere uno degli elementi di presentazione. Circa il 60% dei soggetti affetti da autismo, ad esempio, presenta una deambulazione sull’avampiede, sebbene la letteratura internazionale non sia ancora concorde nell’identificazione del motivo di connessione. Una probabile interpretazione è che il soggetto autistico, deambulando sulle punte, riduca il più possibile gli input sensoriali dal suolo, da lui percepiti come sgradevoli.
Anche in assenza di una delle cause suddette, o di altri segni clinici, esistono poi dei bambini che proseguono a deambulare in maniera preferenziale sulle punte oltre i 3 anni di età. Non sono pochi, rappresentano quasi il 5% e vengono definiti toe walkers idiopatici (o abituali). In questi casi può essere opportuno effettuare una visita ortopedica pediatrica che valuterà la corretta morfologia del piede e della caviglia e la sua escursione articolare (la fisiologica dorsiflessione della caviglia è di circa 15-20°), e consentirà di identificare un’eventuale retrazione del tendine di Achille o la presenza di meccanismi posturali di compenso (iperlordosi reattiva).
Nei casi di diagnosi conclamata di accorciamento del tendine di Achille, che comporta quindi un ostacolo meccanico al raggiungimento del fisiologico movimento di flessione dorsale (ovvero non consente al piede di poggiare il calcagno al suolo), il trattamento può comprendere fisioterapia mirata allo stretching dei muscoli posteriori delle gambe o rende talvolta necessario l’utilizzo di tutori/gessi o, ancora, iniezioni di tossina botulinica nel muscolo.
Nei casi più severi, invece, si ricorre all’intervento chirurgico. Esistono differenti tecniche di allungamento del tendine di Achille, generalmente si effettuano per via percutanea, senza quindi necessità di ricorrere a vere e proprie incisioni chirurgiche, e vengono accompagnate sempre dall’utilizzo di un apparecchio gessato che consenta al tendine di cicatrizzarsi correttamente.
Specialista in Ortopedia e Traumatologia con indirizzo prevalentemente pediatrico, dal 2009 pratica attività di volontariato in Tanzania in un centro per bambini motolesi. Ha frequentato corsi professionalizzanti sulla metodica di Ponseti nel trattamento del piede torto congenito e sulla tecnica ecografica di Graf nella displasia congenita delle anche. Dal 2017 è co-responsabile dell’ambulatorio di Ortopedia Pediatrica del Policlinico di Messina.