Parto cesareo: il triste primato dell’Italia

Il cesareo è certamente utile per evitare le complicazioni eventuali di un parto naturale, ma non vi si dovrebbe ricorrere con troppa facilità

Immagine per l'autore: Alessandra Puppo
Alessandra Puppo , ostetrica
bambino che nasce con parto cesareo

Nel 1997 e nel 2005 subisco due interventi all’addome per la rottura del corpo luteo emorragico; rimasta incinta, nel marzo del 2006, spero proprio di non dover subire un terzo intervento. Devo finire il tempo il 21 dicembre, ma dalla prima ecografia sembra che la data presunta del parto sia il 25 dicembre. La mia dottoressa mi avverte che oltre il 1° gennaio non vuole aspettare. Il 2 gennaio vengo ricoverata per indurre il parto.

Ce la metto tutta, e affronto quelle dieci ore di travaglio come mi avevano insegnato al corso, muovendomi e facendo le scale; nel pomeriggio le contrazioni sono fortissime, penso di essere prossima al parto, e invece la dilatazione era solo all’inizio. Mi crolla il mondo addosso. E intanto comincio a sentir parlare di taglio cesareo. Dopo tutte quelle ore di dolore, non me la sento proprio di affrontare un altro intervento, ma alla fine mi convinco che sia la cosa giusta per la mia bambina.

All’inizio mi fanno l’epidurale e poi, a causa della cicatrice verticale dei precedenti interventi, mi fanno anche l’anestesia generale. Non sto più lì per mettere al mondo mia figlia, non sono più incinta, sta andando tutto come non avrei mai immaginato e ripercorro le tappe di quei brutti interventi fatti d’urgenza.

Dopo quattro giorni dal parto, caratterizzati da dolori allucinanti, vengo nuovamente operata per occlusione intestinale. Rimango quattro giorni in terapia intensiva. Quando il mio compagno mi porta i filmati di mia figlia, mi rifiuto di vederli, non mi ricordo più di essere stata incinta, ho un vuoto di memoria. Mi sento in un tunnel senza uscita. Bloccata al letto con tre flebo, sondino al naso, catetere, drenaggio guardo mia madre e il mio compagno che cambiano mia figlia, le danno il latte, fanno tutto quello che avrei dovuto fare io e che invece ho fatto soltanto dopo quasi un mese e mezzo.

Questo è stato il mio parto dopo aver  frequentato per tutta la gravidanza un corso di preparazione al parto attivo, dove si parlava della nascita come di un evento quasi fiabesco: «il mio utero è un fiore che sboccia, sentirò le contrazioni crescere come le onde del mare». Non si è mai parlato del cesareo, dell’induzione del travaglio, di come ci si sente fallite dopo un parto non naturale, di quanto sia difficile sentirsi mamme dopo aver subito tutte quelle manipolazioni. Sarebbe stato giusto prepararci anche a un parto medicalizzato, visto che questa è la tendenza, purtroppo. Invece non se ne parla mai.

Quello che è successo a me, per fortuna, è capitato a una piccolissima percentuale di donne, ma ci siamo anche noi, madri andate “contro natura”, vittime dei medici e dei consultori.

Giada

È difficile entrare nel merito delle scelte assistenziali fatte nel suo caso, è sempre difficile farlo a posteriori, anche con una cartella clinica in mano. Rimango però assolutamente convinta “dell’importanza di lasciare andare le cose in maniera naturale”, come lei dice, quando le cose evolvono regolarmente e che la relativa sicurezza con cui si può fare oggi un cesareo sia un grande vantaggio, anche se poi contesto la facilità con cui vi si ricorre. Ma la difesa del parto naturale è qualcosa che si conquista ogni giorno e in ogni travaglio, ricordando che ci sono posti nel mondo in cui le donne continuano a morire di parto proprio per l’impossibilità di realizzare un intervento che garantisca un’uscita di sicurezza quando il naturale non funziona. Capisco la sua sensazione di essere entrata progressivamente in un vortice sempre più invasivo e devastante (dall’induzione del parto al cesareo, dal cesareo all’anestesia generale), ma non sappiamo cosa sarebbe accaduto aspettando un avvio spontaneo del travaglio e forse, proprio per questo, è inutile tormentarsi ancora.

I corsi di preparazione al parto

Per quanto riguarda i corsi di preparazione al parto, il dibattito su cosa dire è sempre acceso: ci sono tante variabili da considerare nel preparare le donne a un evento comunque estremo e con variabili individuali, e molti operatori non sono d’accordo che sia un vantaggio anticipare i tanti possibili eventi negativi. Non credo quindi che il non parlare del cesareo sia una dimenticanza ma, piuttosto, una scelta. Quindi, forse, potrebbe essere utile riparlarne con gli operatori del corso, per capire le loro motivazioni e portare la sua esperienza. Certamente, quando si fanno campagne culturali ad ampio raggio (parto naturale, allattamento al seno) il rischio di sfociare nella eccessiva semplificazione è sempre presente. Quando si sostiene il parto naturale, inevitabilmente si penalizzano tutte quelle donne che, per ragioni diverse, non riescono ad arrivarci e che sentono di non essere state all’altezza. Allo stesso modo, promuovendo l’allattamento al seno cresce il numero di donne che allattano, ma anche il numero di quelle che entrano in crisi, provando un senso di fallimento e di inadeguatezza.

Fortunatamente, i bambini nati con un parto cesareo, come quelli allattati con il latte artificiale, hanno le stesse possibilità di crescere bene, intelligenti e amati dai loro genitori e dagli altri. Per quanto importante sia il momento della nascita, non è unicamente su questo che si baserà lo sviluppo della loro persona e della loro felicità.

Cesareo: l’Italia detiene il triste primato

I cesarei nel nostro paese sono in aumento: dal 29,9% nel 2000 al 35,2% nel 2005, in Olanda la percentuale è ferma al 13,5%.
Qualche confronto: Stati Uniti e Canada hanno percentuali di cesarei nettamente più basse (rispettivamente 27,5% e 21,2%), mentre i paesi dove si registra il minore ricorso a tale intervento sono Olanda e Danimarca (13,5%), Belgio (15,9%) e Finlandia (16,2%). Meno cesarei rispetto all’Italia, poi, anche in Germania (24,8%), Spagna (23,5%), Gran Bretagna (21,7%) e Francia (18,8%). Il record italiano è trainato dal vero boom che ha investito le ragioni del sud. Ecco le percentuali per ripartizione geografica nel 2004-2005 rispetto al 1999-2000: Italia nord-occidentale (dal 24,5% al 27,4%) Italia nord-orientale (dal 25,3% al 27,4%); Italia centrale (dal 29,8% al 34,2%); Italia meridionale (dal 34,8% al 45,4%); Italia insulare (dal 35,8% al 40,8%).

Quali sono i rischi?

Venire al mondo non è semplice, neanche con un parto cesareo. Sebbene sempre più donne scelgano l’opzione chirurgica, l’aiutino del bisturi non è così utile e innocuo come sembrerebbe. A dimostrarlo è uno studio condotto in America Latina, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati dall’autorevole rivista scientifica British Medical Journal.
In particolare, i ricercatori hanno esaminato i dati riguardanti oltre 94 mila nascite avvenute in 120 strutture sanitarie dell’America Latina. Il primo importante numero che emerge è sicuramente quello dell’elevata percentuale di parti cesarei, a cui hanno fatto ricorso quasi 34 donne su 100. I ricercatori hanno osservato che questa pratica chirurgica, spesso considerata come un’alternativa sicura al più naturale parto vaginale, ha in realtà comportato un aumento significativo della frequenza di malattie nel campione di donne prese in esame. In particolare, hanno constatato che il rischio di dover ricorrere a un trattamento antibiotico dopo il cesareo è addirittura cinque volte maggiore che dopo il parto vaginale.

Anche per quanto riguarda la salute del bambino, lo studio chiarisce che la pratica del cesareo non ha sempre un effetto positivo: il rapporto rischi-benefici, infatti, sembra variare a seconda della posizione assunta dal feto durante il parto. Se il bimbo si presenta in posizione podalica, il cesareo pare avere un effetto protettivo; ma se il bambino si presenta in posizione cefalica il ricorso al cesareo è potenzialmente più pericoloso: aumenta il rischio che il bimbo rimanga in terapia intensiva neonatale per più di sette giorni e cresce anche il rischio di mortalità, per lo meno nel periodo compreso tra la nascita e il momento delle dimissioni dall’ospedale.

Dal sito Partecipasalute.it

Immagine per l'autore: Alessandra Puppo
Alessandra Puppo

nata a Torino, dopo aver lavorato come restauratrice di dipinti, si laurea in Ostetricia nel 1999. Da allora lavora a Firenze, dove promuove una gestione meno invasiva e medicalizzata del parto. Partecipa all’apertura del primo centro nascita italiano, pubblico e a completa gestione ostetrica: la Margherita, dove lavora per sette anni.

Articolo pubblicato il 24/06/2013 e aggiornato il 03/02/2023
Immagine in apertura mvaligursky / iStock / Getty Images Plus

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