Bi-test in gravidanza, cos’è e quando fare lo screening

Fa parte degli esami di screening proposti in gravidanza. Se associato alla valutazione della translucenza nucale, questo test offre un’importante indicazione sulle probabilità che il bambino possa presentare delle anomalie cromosomiche

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Ilaria Lemmi , ostetrica
medico e donna incinta parlano del bi-test

Il Bi-test fa parte degli esami di screening per le anomalie cromosomiche a cui le donne possono sottoporsi nel corso della gravidanza. Si tratta di un test non invasivo che viene eseguito sul sangue materno e che permette di analizzare i valori di due proteine liberate dalla placenta (free beta Hcg e PAPP-A). Eventuali controlli più approfonditi (e invasivi) vengono prescritti solo alle gestanti con valori al di fuori della norma.

Di seguito cercheremo di comprendere meglio come funziona il Bi-Test, quando si deve effettuare e soprattutto quali anomalie potrebbe mostrare.

Cos’è e come funziona il bi-test in gravidanza 

Come detto, il Bi-test valuta due proteine placentari presenti nel sangue materno: la free beta Hcg e la PAPP-A. I valori di queste proteine, associati alla valutazione della translucenza nucale ottenuta con l’ecografia, offrono un’importante indicazione sulle probabilità che il bambino possa presentare delle anomalie cromosomiche (Sindrome di Down, Trisomia 13, Trisomia 18, Sindrome di Turner e Sindrome di Klinefelter). 

È bene ricordare che il test di screening non consente di porre una diagnosi ma solo di identificare la parte di donne a maggior rischio, per le quali si renderanno necessari altri esami in grado di portare a diagnosticare con certezza la presenza o meno della malattia cromosomica.

Lo screening prenatale per le anomalie cromosomiche è molto importante, poiché consente quindi di offrire solo a un numero ristretto di pazienti (quelle considerate ad alto rischio) gli esami diagnostici invasivi (villocentesi e amniocentesi). Il Bi-test, sempre associato alla misurazione della translucenza nucale, permette infatti di identificare circa il 90% dei bambini affetti da anomalie cromosomiche

Nelle gravidanze in cui il feto ha un’anomalia cromosomica si trovano infatti dosaggi molto più elevati (circa il doppio) della proteina prodotta dalla placenta durante la gestazione free Beta HCG. Questa caratteristica permane fino alla 20^ settimana di gravidanza circa. La proteina PAPP-A, al contrario, in questi casi è più bassa, fino al  60% in meno rispetto alle altre gravidanze.

Il Bi-test funziona quindi mettendo in relazione i valori degli ormoni materni con la misurazione della lunghezza craniocaudale del feto (CRL) rispetto alla settimana di gravidanza presa in esame. Per ogni misurazione esiste infatti un valore mediano a cui fare riferimento: in base a quanto la misurazione si discosta dalla media avremo una diminuzione o un aumento del rischio di patologia.

Quando fare il bi-test e come prepararsi

Come si effettua il bi-test? Questo esame consiste in un semplice prelievo del sangue e quindi non necessita di particolare preparazione. Non è necessario essere a digiuno e si consiglia di eseguirlo tra le 9 e le 11 settimane di gravidanza. 

Solitamente il test combinato viene offerto da centri pubblici o privati accreditati, con operatori esperti e con percorsi ben organizzati. Il primo step prevede una consulenza prenatale in cui la coppia viene informata sulle anomalie che è possibile diagnosticare e sul concetto di rischio, in modo da ottenere un consenso informato.

La consulenza prenatale dovrebbe avvenire proprio tra le 9 e le 11 settimane di gravidanza. In questo modo, le coppie possono eseguire direttamente anche il prelievo per il Bi-test. 

L’ecografia del primo trimestre avverrà invece più avanti, tra le 11 e le 13+6 settimane di gravidanza (13 settimane più sei giorni), e rappresenterà anche il momento in cui verrà rielaborato il rischio di malattie cromosomiche (i dati verranno inseriti in un software che definirà accuratamente il rischio personale).

Bi-test: valori normali o alterati

Nel Bi-test non esistono valori “normali” in assoluto. Le proteine free beta Hcg e PAPP-A che vengono misurate, infatti, cambiano la loro concentrazione in base alle settimane di gravidanza e, ancora più precisamente, in base alla lunghezza del feto, che viene valutata durante la prima ecografia. 

Come già accennato, per ogni età gestazionale esiste però un valore mediano a cui vengono rapportate tutte le misurazioni. Il rapporto tra il valore misurato nella paziente e il valore mediano corrispondente all’epoca gestazionale si definisce Multiplo della Mediana (Multiple of the Median) o semplicemente MoM.

Nelle gravidanze con feti portatori di anomalie cromosomiche, come si è detto, il Bi-test mostra valori alterati: la free Beta HCG risulta aumentata (i valori possono anche essere raddoppiati) mentre la PAPP-A viene prodotta in quantità minori dalla placenta. 

Le cause di valori alterati del Bi-test sono da ricercare innanzitutto tra le malattie cromosomiche. Per questo motivo, quando viene comunicato un rischio elevato, l’iter che viene proposto alla coppia è sempre quello di sottoporsi a esami più approfonditi, al fine di escludere o diagnosticare con certezza una delle patologie cromosomiche elencate all’inizio dell’articolo.

Esistono però anche altre cause che possono portare ad avere valori alterati (soprattutto della proteina PAPP-A), come ad esempio un cattivo funzionamento placentare o altre anomalie fetali. Per questo, con valori di PAPP-A inferiori a 0,4 MoM [1] , una volta esclusa la presenza di malformazioni cromosomiche, dovrebbe essere organizzato un percorso che preveda una serie di ecografie di secondo livello, mirate a monitorare il corretto sviluppo fetale sia in termini anatomici sia di crescita. 

Le ecografie di secondo livello, solitamente eseguite da personale esperto che lavora nei centri di diagnosi prenatale, non sono esami “migliori” rispetto a quelli di protocollo (ovvero le tre ecografie, una per trimestre, raccomandate in gravidanza). Sono piuttosto degli approfondimenti che risultano necessari quando dall’ecografia di base sorge un dubbio particolare da verificare. Per fare un esempio, quando si riscontrano valori di PAPP-A inferiori a 0,4 Mom, si rende necessario lo studio del funzionamento delle arterie uterine materne per verificare l’adeguato afflusso di sangue alla placenta. Ciò avviene perché sappiamo che questi valori di PAPP-A possono essere associati a un mal funzionamento placentare e a un ritardo di crescita del feto.

Non è necessario invece eseguire un’ecografia di secondo livello se non c’è un problema particolare da studiare e risolvere.  

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Ilaria Lemmi

Ostetrica, si è occupata a lungo di cooperazione internazionale e di progetti sostegno alle salute delle donne migranti. Dal 2007 al 2009 fa parte del pool di ostetriche che danno vita al Centro nascita “Margherita” dell’Azienda Universitaria di Firenze che si occupa del travaglio e del parto fisiologici a esclusiva conduzione ostetrica. Dal 2014 lavora nell’Ospedale Santa Maria Annunziata nel reparto di Ostetricia e in sala parto.

Note
[1] AA.VV., Competing risks model in screening for preeclampsia by maternal factors and biomarkers at 11-13 weeks gestation, «Am J Obstet Gynecol.», gennaio 2016; 214(1):103.e1-103.e12
Bibliografia
Articolo pubblicato il 22/04/2022 e aggiornato il 18/04/2024
Immagine in apertura SDI Productions / iStock

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