Autismo nei bambini: sintomi, cause e trattamento

L’autismo è un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale, variabili da un soggetto all’altro, che comportano una compromissione delle abilità sociali e del linguaggio, oltre a vari disturbi del comportamento

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Vincenzo Calia , pediatra e fondatore di Uppa
Bambino affetto da autismo chiuso in sé stesso

L’autismo nei bambini e negli adulti è un tema relativamente recente. Descritto per la prima volta negli anni ‘30 del secolo scorso da Leo Kanner e Hans Asperger, solo negli anni ‘50 si cominciò a prendere coscienza della diffusione e della gravità di questo disturbo. Fu allora che iniziarono le ricerche sulle cause dell’autismo e sulle prime terapie sperimentali; una ricerca che, in un certo senso, non è mai terminata: oggi sappiamo come riconoscere l’autismo nei bambini e abbiamo strumenti validi per una diagnosi precoce; conosciamo però poco delle cause, non sappiamo ancora se sia possibile prevenirlo e non abbiamo ancora una terapia risolutiva.

Ma cos’è l’autismo? La parola deriva dal greco, il suo significato letterale è “stare soli con sé stessi”. Non è un disturbo definito con certezza, ma un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale: per cui è preferibile usare la definizione di “disturbi dello spettro autistico”.
I disturbi dello spettro autistico sono variabili da un soggetto all’altro, tanto che si può dire che ogni bambino autistico è un caso a sé.

In questo articolo cercheremo di approfondire ogni aspetto legato all’autismo nei bambini, dai sintomi alle cause, ai trattamenti più efficaci.

Sintomi dell’autismo nei bambini

I bambini autistici quali sintomi presentano? I primi sintomi di autismo nei bambini compaiono già nella prima infanzia. In particolare, i segni dell’autismo, più o meno presenti e accentuati a seconda dei singoli bambini, riguardano queste aree:

  • La produzione e la comprensione del linguaggio verbale. Il bambino autistico non parla (o parla poco e con poca connessione alla realtà), e non comprende il linguaggio (o ne comprende solo alcune espressioni, senza però afferrarne le sfumature e i significati).
  • La comunicazione non verbale. Il soggetto autistico è incapace di comunicare attraverso le espressioni del volto, i toni della voce e il contatto fisico e visivo.
  • La socialità. I bambini autistici sono incapaci di inserirsi nel contesto sociale e familiare.
  • L’immaginazione. I bambini autistici hanno interessi molto ristretti e seguono comportamenti rigidi e sempre uguali.
  • L’emotività, che spesso non si manifesta affatto, oppure si manifesta con grande difficoltà; è inesistente la capacità di entrare in sintonia con l’emotività degli altri.
  • È inesistente o molto ridotta la capacità di pianificare e organizzare il proprio comportamento e la propria vita, di regolare l’attenzione e i comportamenti alle diverse circostanze.
  • La risposta a stimolazioni ambientali (cibo, rumori, oggetti in movimento) è anomala e non adeguata.
  • Il potenziale cognitivo, la memoria, le capacità di calcolo, le abilità musicali e matematiche possono essere incredibilmente sviluppati in alcuni soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico. 
  • Il 30% circa dei soggetti autistici ha una evidente disabilità intellettiva; più o meno altrettanti sono quelli che hanno anomalie dell’elettroencefalogramma, pur senza avere segni di epilessia.

I segnali di autismo nei bambini appena elencati, in assenza di un trattamento, sono destinati a peggiorare con la crescita, perciò i sintomi dell’autismo nell’adulto possono essere ancora più problematici.

L’insieme di questi disturbi ha come conseguenza una compromissione delle abilità sociali e del linguaggio, oltre a vari disturbi del comportamento (come già detto, questi sintomi non si presentano con la stessa intensità in tutti i bambini).

Autismo ad alto funzionamento e autismo a basso funzionamento

Come già accennato, ogni soggetto autistico è diverso dagli altri, e alcuni sono capaci di integrarsi nella vita sociale e di avere relazioni più o meno soddisfacenti. 

Schematicamente possiamo dividere le diverse manifestazioni dello spettro autistico in:

  • autismo ad alto funzionamento: si tratta di soggetti capaci di comunicare verbalmente e dotati di un’intelligenza normale o addirittura superiore, tanto da avere a volte straordinarie abilità in molti campi;
  • autismo a basso funzionamento: sono invece soggetti che non sono capaci di usare un linguaggio appropriato e hanno capacità mentali insufficienti.

Frequenza e cause dell’autismo

Questa condizione, la cui diffusione è in aumento, riguarda un soggetto su 88, con i maschi colpiti 4-5 volte di più rispetto alle femmine. In Europa la diffusione varia da paese a paese (uno su 160 in Danimarca, uno su 86 in Gran Bretagna, uno su 77 in Italia…). Queste stime comprendono anche i casi di autismo lieve, che non compromettono gravemente la vita di relazione. È un numero molto alto, peraltro cresciuto negli ultimi decenni, non perché siano aumentati i casi di autismo infantile, quanto piuttosto per la capacità dei medici di porre questa diagnosi.

La crescita delle diagnosi di autismo è avvenuta contemporaneamente alla diffusione di alcune vaccinazioni, in particolare di quella contro il morbillo. Inoltre i sintomi iniziali dell’autismo cominciano a manifestarsi nel secondo anno di vita, proprio poche settimane dopo l’età in cui di solito viene fatta la vaccinazione antimorbillo. Da qui la nascita di un grande equivoco: che ci sia una relazione fra autismo e vaccini (in particolare fra autismo e vaccino antimorbillo). Ma questa relazione non c’è, dal momento che tutte le ricerche scientifiche condotte negli anni hanno portato alla stessa conclusione: i vaccini e i conservanti contenuti al loro interno non causano l’autismo. [1] L’aumento delle diagnosi di autismo registrato negli ultimi anni è dovuto soprattutto al miglioramento delle tecniche che ci consentono di diagnosticare questa disabilità.

Le cause dell’autismo sono tutt’oggi sconosciute. Quello che sappiamo è che l’autismo è una patologia psichiatrica con un’importante componente ereditaria: per i genitori che hanno già avuto un figlio autistico, il rischio di averne un altro con la stessa patologia è di 20 volte maggiore rispetto alla popolazione comune. Per questo motivo la ricerca scientifica si è orientata soprattutto verso i fattori genetici e si è focalizzata sullo studio del cervello attraverso il neuroimaging (tecniche in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare la relazione tra l’attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali).

Allo stato attuale si pensa che all’origine dei disturbi dello spettro autistico ci siano anomalie dei neuroni (le cellule nervose del cervello) e delle connessioni fra i neuroni stessi. Ciò provoca un irrigidimento delle funzioni del cervello e di conseguenza un’incapacità di mettere insieme in modo armonico queste molteplici funzionalità.

Le complesse e numerosissime reti di neuroni che compongono il nostro cervello si formano e si sviluppano durante la vita fetale, continuano a svilupparsi dopo la nascita e ancora per molti anni, fino al raggiungimento dell’età adulta. Questo sviluppo continua, sia pure meno vivacemente, per tutta la vita, ma la struttura di base di queste reti non cambia più dopo la nascita. Poiché è questa struttura a essere danneggiata nei soggetti autistici, si ipotizza che la causa del danno sia dovuta a una combinazione di fattori genetici e danni congeniti che hanno agito prima della nascita. 

Viceversa non ci sono prove dell’influenza di fattori esterni intervenuti dopo la nascita: vaccinazioni, alimentazione, assunzione di sostanze tossiche, interazione con i genitori.
II bambino autistico cresce con questa condizione. Se acquisisce col tempo nuove competenze, queste si “modellano” sul suo disturbo e assumono una qualità “autistica”. Se non si interviene in maniera adeguata, il bambino autistico può diventare un adulto gravemente disabile, incapace di autonomia e di un’adeguata vita sociale. 

Come si diagnostica l’autismo?

Una diagnosi prenatale dell’autismo non è possibile, dal momento che non esiste alcun modo per segnalare la presenza di questo disturbo durante la gravidanza. Nei neonati i sintomi dell’autismo non sono ancora evidenti; diagnosticare la disabilità prima dei 12 mesi è difficile, anche se potrebbe essere sospettata nei bambini con uno scarso “aggancio visivo”, mentre è possibile entro i 2 anni.

I primi segnali di autismo nei bambini sono il ritardo o la regressione dello sviluppo del linguaggio e della capacità di entrare in relazione con gli altri e i comportamenti ripetitivi e stereotipati.

A volte il sospetto di autismo viene avanzato alla scuola materna dagli insegnanti. Attenzione però agli allarmismi ingiustificati, che possono portare a una diagnosi di autismo errata, col conseguente rischio di etichettare come disabile un bambino sano.

Test di screening per l’autismo

Ad oggi difficilmente si arriva a una diagnosi di autismo prima dei 3 o 4 anni, anche se i disturbi della comunicazione sono già riconoscibili molto prima (i bambini autistici mostrano presto difficoltà nel comunicare con gli altri attraverso le parole, lo sguardo e i gesti).

Poiché una diagnosi precoce è fondamentale per avviare un percorso terapeutico e riabilitativo, è stato ideato un test di screening che consente di individuare i casi sospetti da tenere sotto osservazione: il questionario CHAT (Checklist for Autism in Toddlers) con le sue varianti M-CHAT* (Modified Checklist for Autism in Toddlers) e Q-CHAT (Quantitative Checklist for Autism in Toddlers). [2]
Non si tratta però di un test diagnostico per l’autismo: rispondendo “Sì” o “No” alle domande che lo compongono si possono selezionare i soggetti “a rischio”, ovvero quelli che presentano comportamenti anomali che potrebbero evolvere in un disturbo dello spettro autistico (solo seguendo attentamente l’evoluzione dei bambini identificati come “a rischio” si può raggiungere l’obiettivo di una diagnosi precoce dell’autismo).

Dunque si tratta solo di un test di screening e deve essere somministrato da un operatore competente (il pediatra di famiglia o un suo collaboratore qualificato) per evitare, nei limiti del possibile, che i suoi risultati possano essere falsamente negativi o positivi. [3]

Come diagnosticare l’autismo? La diagnosi è “clinica” (cioè non ci sono esami del sangue, né esami strumentali che possano confermarla) e si basa esclusivamente sull’osservazione del bambino o, per meglio dire, sull’uso di test riconosciuti a livello internazionale dai neuropsichiatri infantili.

I più diffusi sono l’ADOS-2 (Autism Diagnostic Observation Shedule-2nd Edition), basato sull’osservazione del gioco, e l’ADI-R (Autism Diagnostic Interview-Revised), basato su domande rivolte ai genitori.

L’autismo nei bambini di 2 anni, 3 anni e a seguire può manifestarsi con sintomi diversi, e la diagnosi può non essere semplice oltre che condizionata da due fattori: le diagnosi errate (spesso prospettate da non professionisti) e la tendenza che molti genitori di bambini affetti da disturbi dello spettro autistico hanno a negarne l’esistenza.

Terapie per l’autismo

Una prima sperimentazione per trovare una cura per l’autismo viene introdotta negli anni ‘50 del secolo scorso, con l’uso di una psicoterapia intensiva e prolungata che però ha portato a risultati deludenti.

Nel 1967, nel libro La fortezza vuota, lo psicanalista Bruno Bettelheim riporta teorie e pratiche nefaste: la causa dell’autismo, secondo Bettelheim, sarebbe la “freddezza” con cui i genitori accolgono i loro figli neonati (viene introdotto il concetto di “madre frigorifero”, che distrugge psicologicamente il figlio appena nato, rendendolo appunto autistico); da qui la proposta terapeutica di allontanare i bambini autistici dalle loro famiglie e accompagnare i genitori in un percorso psicanalitico. Queste idee si diffusero rapidamente con risultati catastrofici: l’allontanamento dei bambini autistici dalle loro famiglie non produceva nessun miglioramento, mentre la colpevolizzazione dei genitori, condannati a lunghissime e inconcludenti psicoterapie, aveva come unico risultato quello di mortificare persone già molto provate da questo gravissimo problema in famiglia.

Negli stessi anni cominciarono a farsi strada anche altre proposte terapeutiche. In Italia divenne popolare la “terapia dell’abbraccio” che consisteva nello stretto contatto fisico con il bambino autistico. Col metodo Doman, invece, veniva proposta un’intensa stimolazione sensoriale che sarebbe stata in grado di “riparare” i danni cerebrali subiti dai soggetti autistici. Queste proposte, purtroppo, si sono dimostrate inefficaci.

Su iniziativa di Eric Schopler, nel 1972 in America si comincia a praticare il metodo TEACCH per la terapia dell’autismo. TEACCH è l’acronimo di Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children (trattamento ed educazione dei bambini autistici e diversamente abili nella comunicazione). Schopler, stimolato dall’iniziativa di alcuni genitori di bambini autistici, propose di rovesciare le teorie di Bettelheim e tentare una cura attraverso il coinvolgimento dei genitori stessi in un programma intenso di insegnamento, aiutandoli a interagire in modo efficace con i loro figli.

Il metodo ABA per l’autismo

Recentemente si è affermato anche un altro metodo, diverso ma pur sempre basato su un intenso coinvolgimento dei genitori: il metodo ABA per l’autismo (Applied Behaviour Analysis, ovvero analisi applicata del comportamento). Alla base di questo metodo c’è l’idea che i soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico siano, come tutti i bambini, aperti al cambiamento, a condizione che venga loro proposto con un approccio adeguato. Si tratta di “insegnare” qualcosa e, come per ogni insegnamento, i risultati sono tanto migliori quanto più precocemente viene impartito.

Questi trattamenti, per essere efficaci, devono essere intensivi: circa 20/25 ore a settimana per 12 mesi l’anno, non tutte effettuate presso un centro di riabilitazione in rapporto uno a uno con un terapista, ma svolte nei diversi contesti di vita (centro terapeutico, famiglia e scuola). In particolare la “terapia dell’autismo a scuola” dovrebbe essere articolata in rapporto uno a uno con il bambino, in piccoli gruppi e con l’intera classe sulla base di un Piano Educativo Individuale, concordato con la famiglia, il neuropsichiatra infantile, e i terapisti della riabilitazione. 

Come scegliere una cura efficace dell’autismo? Le proposte terapeutiche dei disturbi dello spettro autistico sono molte (ABA, Denver, DAN, psicomotricità, logopedia, comunicazione facilitata, pet therapy, ossigeno iperbarico, PECS, massaggio cranio-sacrale, vitamina B6, mindfulness, terapia in acqua, omeopatia…) e i genitori sono comprensibilmente disorientati.

Il fatto è che guarire dall’autismo non è ancora possibile, perciò dovremmo smettere di pensare all’autismo come a una malattia e cominciare a considerarlo una “diversità neurologica”, indubbiamente invalidante ma non per questo priva di potenzialità di miglioramento e di adattamento.

La moderna Evidence Based Medicine (medicina basata sulle prove scientifiche) esige la formulazione di “linee guida” nella terapia delle malattie, cui gli operatori sono invitati ad adeguarsi. Ogni linea guida deriva dallo studio approfondito di tutto ciò che è stato pubblicato sulle riviste mediche internazionali e viene redatta da un gruppo di esperti.

L’istituto Superiore di Sanità ha elaborato nel 2011 (e aggiornato nel 2015) la linea guida intitolata Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti (di cui troverete una sintesi cliccando qui). 

Dunque, per rispondere alla domanda “quali sono gli interventi che si sono dimostrati efficaci nel migliorare gli esiti nei bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico?” rispondiamo con le raccomandazioni riportate in questo documento; fra queste, le più importanti:

  • Sono raccomandati i programmi di intervento mediati dai genitori.
  • Il metodo TEACCH per la terapia dell’autismo ha mostrato di produrre miglioramenti sulle abilità motorie, le performance cognitive, il funzionamento sociale e la comunicazione. 
  • Tra i programmi intensivi comportamentali il modello più studiato è il metodo ABA, efficace nel migliorare il Quoziente di Intelligenza, il linguaggio e i comportamenti adattativi. Le prove a disposizione consentono di consigliarne l’utilizzo.
  • Sembra che siano efficaci anche altri programmi intensivi altrettanto strutturati.
  • I risultati sono molto variabili da caso a caso.
  • È consigliato l’uso della terapia cognitivo comportamentale (Cognitive behavior therapy, CBT) per il trattamento dei disturbi d’ansia e per la gestione della rabbia nei bambini con sindrome di Asperger o autismo ad alto funzionamento.
  • L’Auditory integration training (metodo AIT) non è raccomandato, perché inefficace.
  • Non ci sono prove scientifiche sufficienti per raccomandare la musicoterapia.
  • La terapia comportamentale dovrebbe essere presa in considerazione per gli eventuali problemi del sonno.
  • Si raccomanda di non utilizzare la comunicazione facilitata con bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico.
  • Non ci sono prove scientifiche sull’efficacia delle diete di eliminazione di caseina e/o glutine. Gli eventuali sintomi gastrointestinali che si presentano nei bambini e negli adolescenti con disturbi dello spettro autistico devono essere curati nello stesso modo in cui sono curati negli altri loro coetanei.
  • Non ci sono prove scientifiche sull’efficacia degli integratori alimentari vitamina B6, magnesio, e omega-3, mentre la melatonina può essere efficace nel caso di disturbi del sonno.
  • La terapia con ossigeno iperbarico non è raccomandata perché inefficace.
  • Alcuni farmaci possono essere utili nella cura di sintomi associati ai disturbi dello spettro autistico: risperidone, aripiprazolo e metilfenidato. Il loro utilizzo è riservato agli specialisti neuropsichiatri.

La linea guida non prende in considerazione trattamenti “alternativi” come il massaggio cranio-sacrale, l’omeopatia e la pet therapy, ritenuti privi di qualunque base scientifica.

La Sindrome di Asperger

Hans Asperger fu uno degli scopritori dell’autismo infantile e ne descrisse una variante che da lui prese il nome: la Sindrome di Asperger.

Si tratta di una forma di autismo ad alto funzionamento che possiede alcune delle caratteristiche tipiche dei disturbi dello spettro autistico (difficoltà nel linguaggio, nella comunicazione verbale e non verbale e nell’empatia), senza però che sia compromessa l’intelligenza e la capacità di condurre una valida vita di relazione. I soggetti affetti da Sindrome di Asperger, contrariamente a quelli affetti da altri disturbi dello spettro autistico, non peggiorano nel tempo.

Questi bambini spesso possiedono delle grandi capacità in alcuni campi e da adulti possono fare anche delle cose straordinarie.

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Vincenzo Calia

pediatra e giornalista, ha esercitato per quarant’anni come pediatra di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale e ha fondato nel 2001 il bimestrale per i genitori «Un Pediatra Per Amico», che ha diretto per 16 anni. Attualmente è un pediatra libero professionista.

Note
[1] Rosario Cavallo La terribile sentenza sulla relazione tra vaccino e autismo «Medico e Bambino», 2014, vol. 33, n. 10, pp. 619-620
[2] Diana Robins, Deborah Fein, Marianne Barton Instructions for Taking and Scoring the M-CHAT-R autism test «www.autismspeaks.org», 1999
[3] F. Barbanera, G. Giovannini, G. Mazzotta Screening precoce dei disturbi dello spettro autistico attraverso la CHAT: Studio pilota in un’azienda sanitaria locale «Giornale di Neuropsichiatria dell'Età Evolutiva», 2011, n. 31, pp. 127-133
Bibliografia
  • Eleonora Napoli, Autismo, disturbi dello spettro autistico, «www.ospedalebambinogesu.it», 9 marzo 2020.
  • Adam Feinstein, Storia dell’autismo – conversazione con i pionieri, Uovonero, Crema, 2014.
Articolo pubblicato il 04/11/2019 e aggiornato il 17/01/2024
Immagine in apertura goodmoments / iStock

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